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La l. 4 febbraio 2006, n. 54, ha espresso un favor legis per l'affidamento condiviso ed un disfavore per l'affidamento esclusivo, surclassato ad ipotesi residuali. Difatti il "modello" dell'affidamento condiviso per la sua natura e le sue caratteristiche appare il più idoneo a consentire ai minori di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori ed i rispettivi ascendenti e parenti.
Il criterio fondamentale cui deve attenersi il giudice è costituito dall'esclusivo interesse morale e materiale della prole, quindi, privilegiare la soluzione che appaia più idonea a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare al fine di assicurarne il migliore sviluppo della personalità e ciò indipendentemente dalla richiesta o dall'eventuale accordo tra i genitori.
Ma come è possibile comprendere la capacità del genitore di crescere ed educare il minore?
Ci si basa su elementi riguardanti le modalità con cui ciascuno ha in passato svolto il proprio ruolo, con particolare riguardo alla capacità di relazione affettiva, alla personalità del genitore, all'esistenza di un rapporto assiduo ma, anche basato sulle consuetudini di vita ed all'ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al figlio (Cass., 11 febbraio 1988, n.1466; Cass., 22 giugno 1999, n. 6312).
Come noto il precedente Governo aveva formulato una proposta di riforma dell'Ordinamento Penitenziario, licenziata dal Consiglio dei Ministri in data 16.03.2018,quasi approdata in dirittura d'arrivo ma in atto non ancora entrata in vigore.
L'A.N.F.T. – Associazione Nazionale Funzionari del Trattamento, composta da Funzionari Giuridico-Pedagogici del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria che curano l'osservazione scientifica della personalità dei condannati e l'approntamento di percorsi trattamentali individualizzati finalizzati alla loro risocializzazione, pur apprezzando i principi ispiratori della proposta, ha il dovere di rilevare le negative ricadute della stessa sullo svolgimento delle attività di osservazione e trattamento.
Rispetto ai principi ispiratori, infatti, la riforma finisce per risultare incongrua per le ragioni che seguono.
Non si può non rammentare che le attività di osservazione e trattamento dei condannati e le attività di valutazione dei percorsi trattamentali al fine dell'ammissione dei condannati stessi alle misure alternative già, da alcuni anni, vengono espletate tra grandi difficoltà a causa, sia della diminuita presenza dei Funzionari di Servizio Sociale negli Istituti Penitenziari, in conseguenza del loro quasi totale impiego nell'ambito dei procedimenti di messa alla prova, che del taglio delle piante organiche subito dal profilo del Funzionario Giuridico-Pedagogico.
Completa il quadro delle ragioni dell'attuale condizione di sofferenza delle attività di osservazione e trattamento, il sempre crescente impiego dei Funzionari Giuridico-Pedagogici in compiti amministrativi che sottraggono tempo di lavoro alle attività istituzionali di tali Funzionari.
Quale organismo rappresentativo di addetti ai lavori, questa Associazione non può non ribadire che la riforma proposta dall'Esecutivo uscente determinerebbe, a causa della dilatazione dei carichi di lavoro derivanti dall'abbattimento delle preclusioni di cui all'art. 4 bis e dell'abrogazione dell'art. 58 quater O.P. , una notevole dispersione di energie lavorative ad ulteriore danno dei percorsi trattamentali meritevoli di attenta verifica in ordine ai progressi necessari per la riammissione alla Società Libera.
Ciò vale soprattutto per i condannati in condizione di svantaggio sociale che utilizzano la carcerazione come occasione di riflessione e che hanno i requisiti di merito per ottenere la concessione di una misura alternativa.
Infatti l'ammissibilità delle istanze per benefici penitenziari anche per alcuni reati compresi in atto nel regime di cui all'art. 4 bis O.P. e delle istanze oggi inammissibili ex art. 58 quater O.P. , comporterebbe un notevole aggravio per i Funzionari citati, anche a causa della probabile reiterazione di istanze ad opera dei condannati per tali più gravi reati o la cui situazione sia sussumibile in una della fattispecie della norma di cui all'articolo da ultimo citato.
Pertanto la funzione rieducativa della pena, attraverso tale intervento riformatore, non trarrebbe di certo maggiore effettività.
Non meno grave appare il rischio di sovraesposizione degli operatori penitenziari che dovrebbero anche fronteggiare in prima linea le nuove aspettative che la riforma ingenererà nei soggetti condannati per tali più gravi reati.