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Danno da incapacità lavorativa, Cassazione precisa criteri di calcolo

E´ stato questo l´ambito principale di indagine da parte della Corte di cassazione, che con ordinanza 4 maggio 2016 n. 8896, ha rigettato il ricorso di un uomo rimasto vittima di un sinistro stradale, che aveva convenuto in giudizio i responsabili ed il loro assicuratore della r.c.a., chiedendone la condanna al risarcimento del danno.
Tanto il Tribunale di Brescia, quanto la Corte d´appello di Brescia avevano accolto, tra le altre, la domanda di risarcimento del danno da perdita della capacita´ di guadagno, ed avevano liquidato il relativo pregiudizio in base al reddito più alto percepito dalla vittima nei tre anni precedenti il sinistro, ai sensi dell´art. 137, comma 1, cod. ass..
Tale decisione e´ stata impugnata dalla vittima del sinistro, il quale ne aveva lamentato l´erroneità, sul presupposto che, godendo la vittima al momento del sinistro di un reddito esiguo, il danno si sarebbe dovuto liquidare in base al criterio del triplo della pensione sociale, ai sensi dell´art. 137, comma 2, cod. ass. In buona sostanza il ricorso proposto in Cassazione si basava sull´assunto per il quale a dire del ricorrente il danno da riduzione della capacita´ di guadagno avrebbe dovuto essere liquidato in base al triplo della pensione sociale (oggi "assegno sociale") tutte le volte che il danneggiato abbia un reddito a questa inferiore.
Tale assunto non è stato in alcun modo condiviso dai Giudici di piazza Cavour per i quali «La liquidazione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa, patito in conseguenza d´un sinistro stradale da un soggetto percettore di reddito da lavoro, deve avvenire ponendo a base del calcolo il reddito effettivamente perduto dalla vittima, e non il triplo della pensione sociale».
La Suprema Corte ha specificato infatti che il criterio del triplo, ai sensi dell´articolo 137, del Codice assicurazioni, «può essere consentito solo quando il giudice di merito accerti, con valutazione di fatto non sindacabile in sede di legittimità, che la vittima al momento dell´infortunio godeva sì di un reddito, ma questo era talmente modesto o sporadico da rendere la vittima sostanzialmente equiparabile ad un disoccupato».
Tale criterio dunque «non costituisce affatto un automatismo». In quanto, prosegue la sentenza, anche un reddito modesto «può essere stabile e permanente, e costituire effettivamente il massimo frutto possibile delle potenzialità produttive del danneggiato». E così era per la Corte di Appello secondo cui nonostante la vittima avesse iniziato a lavorare da soli tre anni, l´attività doveva comunque considerarsi ormai «consolidata», per cui nulla lasciava dedurre che in futuro il reddito sarebbe «certamente cresciuto».
In tal senso, gli Ermellini hanno ancora precisato che : «Nella liquidazione del danno patrimoniale futuro da incapacità di lavoro il reddito della vittima da porre a base del calcolo deve essere equitativamente aumentato rispetto a quello concretamente percepito, quando sia ragionevole ritenere che esso negli anni a venire sarebbe vero similmente cresciuto».
Tale valutazione deve essere operata dal giudice di merito «in base ad elementi oggettivi che è onere del danneggiato dedurre, ed in mancanza dei quali non è consentita la liquidazione del danno in base al triplo della pensione sociale, a nulla rilevando che il reddito della vittima fosse di per sé di modesta entità».
Sentenza allegata
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