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11 settembre 1973: il caso di Salvador Allende

11 settembre 1973: il caso di Salvador Allende

Sono trascorsi tanti, da quel martedì 11 settembre 1973.

Un martedì che ci colse, assieme a Silvano Ballinari, allora direttore di un quotidiano del Canton Ticino (Svizzera) "Libera Stampa" in una delle vie principali di Catania: la mitica via Etnea, tanto decantata dal Verga e dal Brancati. Era l'epoca in cui le scuole, allora insegnavo in Ticino, aprivano i battenti nella terza settimana di settembre.

Così, avevamo deciso di passare dieci giorni in Sicilia.

Quel giorno eravamo stati a visitare, durante la mattinata, il vulcano in attività più alto d'Europa, e durante il viaggio, la radio trasmetteva notizie non tranquillizzanti sulla situazione cilena.

Un quotidiano del pomeriggio titola a sei colonne il bombardamento della Moneda, la sede governativa della capitale cilena, da parte delle forze militari golpiste, e il "suicidio" del presidente Allende.

Sgomento, rabbia, dolore. Ma non incredulità!

Erano ormai mesi che in Cile si verificavano episodi (scioperi dei camionisti, boicottaggi interni e, soprattutto, esterni da parte degli USA, paure che il Cile potesse diventare un'altra spina nel fianco del potere e dell'economia americani, come Cuba…!). Segnali che potevano far intravedere, prima o poi, un intervento armato per stroncare quella esperienza del progetto Allende, di una terza via dell'instaurazione del socialismo nella democrazia.

Anziché il sabato, come previsto, partimmo per Lugano, il giorno dopo.

Silvano Ballinari aveva il pensiero, di seguire gli avvenimenti sul quotidiano socialista, con una redazione asfittica di due giornalisti e di un collaboratore a metà tempo, oltre naturalmente qualche altro collaboratore volontario.

 In Ticino, come in ogni parte del mondo democratico, le manifestazioni di solidarietà al popolo cileno e contro la giunta militare golpista non mancavano: tutt'altro.

I Partiti della sinistra, Partito Socialista Ticinese(PST), Partito Socialista Autonomo (PSA), Partito del Lavori (PdL)e i raggruppamenti della sinistra extraparlamentare fecero sentire le loro voci nel manifestare il sostegno al popolo cileno per l'abbattimento della democrazia e contro il golpe fascista dei generali manovrati ed aiutati dal capitalismo internazionale e dal governo americano.

Partiti e raggruppamenti che, proprio in quegli anni, erano in mobilitazione permanente per la guerra in Vietnam e contro il tentativo americano di accorpare il paese asiatico.

Ed è sufficiente, oggi, andare a rileggere gli articoli sui quotidiani per cogliere, timori o speranze che la situazione in Cile potesse precipitare da un momento all'altro. Non ci sembra esagerato paragonare il clima di quarantacinque anni fa a quello del periodo dell'antifascismo. Le testate giornalistiche pro o contro erano ancora in vita.

Una sola ancora oggi.

Manifestazioni e mobilitazione, con relative bandiere americane bruciate nelle pubbliche piazze, che avevano un sapore simbolico e solidale.

Ma, così come negli Anni Trenta e Quaranta, in Ticino si mobilitarono delle forze affinché si andasse oltre i gesti simbolici, se pur importanti.

 Il gruppo del regista Cometta e di Ketty Fusco, bravissima attrice, girarono i teatri locali e le sale parrocchiali ad offrire spettacoli nello spirito della solidarietà e nella ricerca di fondi.

Gli ambienti economici e della destra politica svizzeri si trovarono un po' a disagio nel dover accogliere profughi provenienti da un Paese dove la democrazia era stata uccisa da un golpe militare fascista.

Fino a quell'epoca, dalla fine della Seconda guerra mondiale, in Svizzera, e a giusta ragione per le persone, avevano trovato benevole accoglienza solo profughi provenienti dai paesi comunisti.

I cavilli, i distinguo, la caparbietà burocratica furono messi in campo per non rendere facile l'arrivo dei profughi cileni in Svizzera. Strategia che, in Ticino, viene subito sposata sia dalle redazioni del "Giornale del popolo" sia di "Gazzetta ticinese". Testate scomparse.

Il pastore Guido Rivoir e il parroco Koch furono gli artefici in Ticino dell'azione "Posti liberi": la disponibilità e l'impegno di una famiglia ad accogliere ed ospitare un profugo cileno.

Un'azione che vide, in un lavoro corale, l'impegno di giuristi, magistrati, politici e comuni ed anonimi cittadini nel trovare le vie giuridiche per accogliere ed ospitare quanti erano riusciti a sfuggire i processi di massa, le torture, la morte.

Ricordiamo, ancora oggi, con grande emozione l'arrivo in Ticino dei primi sei profughi cileni.

Il defunto Giorgio Polli, deputato del Psa al Gran Consiglio, era andato a prenderli a Ginevra e li aveva ospitato a casa sua a Carona.

Lo scompiglio perché i pochi bagagli erano stati dirottati altrove; la gara di solidarietà nel procurare il necessario; gli sforzi per rendere meno drammatico questo cambio, non solo di latitudine, ma di usi, costumi e tradizioni.

Nel contempo le riunioni al ristorante Alpino di Rivera si intensificavano ed i giuristi mettevano in atto strategie per far giungere, anche da Milano, i profughi in Ticino, che i volontari, qualche volta lo siamo stati anche noi, con le proprie auto accompagnavano a Carona o in qualche altra località ospitale.

Certo ci furono anche delle incomprensioni all'interno della sinistra ticinese. E' dimostrato dal fatto che sorsero due comitati, come tradizione vuole: da una parte gli ambienti, cosiddetti, socialdemocratici; dall'altra quelli legati ai movimenti rivoluzionari.

A quarantacinque anni di distanza, forse una riflessione, pacata e serena, potrebbe aiutarci a capire meglio quello che effettivamente era successo: sia in Cile sia da noi.

Il settimanale "Diario", allora diretto da Enrico Deaglio, nell'edizione mensile di settembre, pubblica un interessante inserto, "Mai dire 11 settembre". Il riferimento alle vicende cilene di quell'11 settembre, martedì, 1973 e dell'11 settembre, martedì, 2001 fa da sfondo sia alle responsabilità americane, ieri come oggi, sia a quelle della sinistra rivoluzionaria cilena che, tutto sommato, diede una mano alla spallata che doveva affossare l'esperienza di Allende.

Papa Montini, Paolo VI, inizialmente sposò le tesi, pro golpiste, della Chiesa cilena. Dopo qualche mese, sull'argomento, non esitò ad affermare pubblicamente: "Ero stato male informato"

"Ho fiducia nell'uomo" è il testo del colloquio avuto dal presidente Allende, nel maggio 1971, con il regista cinematografico italiano Roberto Rossellini. Un testo che mette in evidenza il programma politico e le strategie di Salvador Allende.

Ma il testo che, più di ogni altro, mette in evidenza la responsabilità di chi isolò Allende "… in nome dell'ortodossia e della rivoluzione. E poi lo abbandonarono" è di Roberto Ampuero, profugo che mette a nudo le responsabilità sia interne alla sinistra cilena, sia, soprattutto, esterne con il doppio gioco di Fidel Castro: da una parte abbracci e baci e dall'altra il finanziamento occulto delle frange più estremiste della sinistra cilena.

La storia che, puntualmente, fa capolino nelle nostre quotidianità.

 

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