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Avvocati e praticanti. L'importanza del requisito della condotta irreprensibile anche nella vita privata

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 Fonte: https://www.codicedeontologico-cnf.it

Con sentenza n.205 del 19 ottobre 2023 il Consiglio Nazionale Forense ha affrontato il teme dei requisito della condotta irreprensibile secondo i canoni previsti dal codice deontologico forense, necessario per l'iscrizione all'albo previsti dall'art.17 della legge professionale 247/2012.

Analizziamo la questione sottoposta al Consiglio Nazionale Forense.

I fatti del procedimento disciplinare

Nel caso di specie il ricorrente, in qualità di praticante avvocato, ha chiesto di essere iscritto nel registro speciale dei praticanti avvocati senza il patrocinio, ma il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati ha rigettato l'istanza per l'insussistenza del requisito della condotta irreprensibile secondo i canoni previsti dal codice deontologico forense previsto dall'art.17 comma 1 lettera L. n.247/2012.

Ciò in quanto l'istante ha riportato una condanna per il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose ex art. 392 c.p. nonché è stato sottoposto a diversi procedimenti penali.

La decisione del COA è stata impugnata dall'istante dinanzi al Consiglio Nazionale Forense contestando l'erroneità della motivazione e sostenendo che:

  • le condotte apprezzabili sotto il profilo morale non sarebbero solo quelle che rilevano ai fini della valutazione rispetto all'affidabilità del soggetto per il corretto svolgimento della specifica attività e non anche quelle riferibili alla dimensione privata dell'individuo;
  • non sussisterebbero di condizioni ostative all'iscrizione in quanto l'art. 17 L. 247/2012 nell'elenco tassativo di condanne ostative all'iscrizione non contempla l'art. 392 c.p.;
  • il COA avrebbe violato l'art.62 n.10 L. n. 247/2012.

 La decisione del Consiglio Nazionale Forense

Quanto al requisito della condotta irreprensibile, per il Consiglio Nazionale Forense è corretta la valutazione complessiva effettuata dal Consiglio dell'Ordine il quale ha ritenuto la sussistenza di elementi preclusivi alla richiesta di iscrizione. Infatti il COA ha deliberato il rigetto dell'istanza ritenendo che anche la condanna per il reato di cui all'art. 392 c.p. costituisce impedimento alla condotta irreprensibile prevista dall'art.17, lett. h) L. 247/2012 e in considerazione degli altri procedimenti penali pendenti, in uno dei quali il ricorrente ha dichiarato di aver commesso il fatto con leggerezza e colpa, ma senza alcun intento doloso.

Ne discende che per il COA i comportamenti del richiedente non sono idonei a configurare l'autorevolezza, la credibilità e l'affidabilità necessari e richiesti a chi formula istanza di iscrizione. Il Consiglio ha chiarito che il requisito della condotta irreprensibile, che costituisce il presupposto soggettivo necessario per ottenere l'iscrizione nel Registro Speciale dei Praticanti Avvocati, ai sensi dell'art. 17 L. 247/2012, va valutato alla stregua dei comportamenti non conformi alla disciplina positiva o alle regole deontologiche in quanto idonei ad incidere negativamente sull'affidabilità del richiedente anche e soprattutto in ordine al corretto svolgimento dell'attività forense.

Inoltre il Consiglio Nazionale Forense ha evidenziato che la valutazione del comportamento generale e delle condotte non apprezzabili sotto il profilo morale possono riferirsi anche alla dimensione privata dell'istante. Infatti i doveri di dignità, probità e decoro sono doveri generali e concetti guida a cui l'Avvocato deve sempre ispirarsi nel proprio agire sia nella vita privata che nei rapporti con i terzi.  

 Ciò si evince dagli artt.9 e 63 del codice deontologico forense per i quali "L'avvocato, anche al di fuori dell'attività professionale deve osservare i doveri di probità, dignità e decoro, nella salvaguardia della propria reputazione e della immagine della professione forense" (Art. 9) e "L'avvocato, anche al di fuori dell'esercizio del suo ministero, deve comportarsi, nei rapporti interpersonali, in modo tale da non compromettere la dignità della professione e l'affidamento dei terzi"(Art. 63 comma 1, del CDF).

I contegni posti in essere da Avvocati, al di fuori dell'attività professionale, in violazione dei doveri probità, dignità e decoro sono quindi idonei, anche per la notorietà degli stessi, a ledere l'immagine e la dignità della professione.

Peraltro il Consiglio ha evidenziato l'inapplicabilità al caso di specie dell'art.62 L. n.247/2012 che, riferendosi tassativamente all'esecuzione delle sanzioni disciplinari, consente al professionista radiato la possibilità di una nuova iscrizione allorché siano decorsi cinque anni dall'esecutività del provvedimento sanzionatorio, sempre che detta istanza sia stata presentata non oltre un anno, e non oltre, dalla scadenza di tale termine. Tale norma non è applicabile al caso di specie in quanto esso non riguarda né una cancellazione conseguente ad un comportamento disciplinarmente rilevante, sanzionato ed eseguito, né della conseguente richiesta di una nuova iscrizione.

Queste argomentazioni hanno indotto il Consiglio Nazionale Forense a ritenere che nel caso di specie i comportamenti antigiuridici posti in essere dall'istante abbiano inciso negativamente sul prestigio, la dignità e decoro della classe forense e per questi motivi ha rigettato il ricorso.

 

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