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Praticante avvocato. Non è sufficiente costituirsi unitamente ad un difensore abilitato per l'esercizio della professione forense

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Fonte: https://www.codicedeontologico-cnf.it

Può una praticante avvocato che abbia superato l'esame di abilitazione, ma non si sia ancora iscritta all'Albo degli avvocati esercitare la professione forense congiuntamente ad un collega abilitato?

E qualora la condotta sia riconosciuta illecita sul piano deontologico, qual è la sanzione appropriata? Queste le questioni affrontate dal Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n.237 dell'8 novembre 2023.

Analizziamo l'iter logico-giuridico seguito dal Consiglio.

I fatti del procedimento

Una praticante avvocato è stata sanzionata dal CDD con la sospensione dall'esercizio della professione per 8 mesi in quanto pur non essendo iscritta all'Albo degli Avvocati, ma iscritta solo nel Registro dei Praticanti senza abilitazione al patrocinio, ha tenuto la seguente condotta:

  • ha sottoscritto un ricorso ex art. 414 c.p.c. qualificandosi come "Avvocato",
  • ha autenticato la procura ad litem rilasciatale dall'assistito,
  • ha partecipato a tre udienze dinanzi al Tribunale espletando attività istruttoria attraverso l'escussione di un teste, attribuendosi sempre la qualifica di "Avvocato",
  • ha sottoscritto un verbale di conciliazione.

Il C.D.D. ha rilevato che tale condotta sia stata posta in violazione:

  • dell'art.36 C.D.F. (Divieto di attività professionale senza titolo e di uso di titoli inesistenti) che prevede uno specifico divieto di esercizio dell'attività professionale senza titolo,
  • dell'art.5 C.D.F. (Condizioni per l'esercizio dell'attività professionale) che richiede l'iscrizione all'albo per esercitare l'attività di avvocato,
  • dei doveri generali di cui all'art.9 C.D.F. (Doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza), all'art.10 (Dovere di fedeltà) e all'art. 19 (Doveri di lealtà e correttezza verso i colleghi e le Istituzioni forensi) applicabili anche all'ambito personale della vita del professionista.

 La questione è giunta dinanzi al Consiglio Nazionale Forense a seguito di ricorso da parte della praticante la quale, pur ammettendo la propria leggerezza, ha rilevato di essersi costituita unitamente ad altro difensore abilitato e di avere all'epoca superato l'esame di abilitazione all'esercizio della professione forense, anche se non aveva ancora formalizzato l'iscrizione all'Albo.

Conseguentemente la ricorrente ha chiesto il proscioglimento o, in subordine, il minimo della sanzione.

La decisione del Consiglio Nazionale Forense

Il Consiglio ha rilevato che ai sensi dell'art. 2 L n. 247/2012 «L'iscrizione ad un albo circondariale è condizione per l'esercizio della professione di avvocato» (comma 3) e che «L'uso del titolo di avvocato spetta esclusivamente a coloro che siano o siano stati iscritti ad un albo circondariale, nonché agli avvocati dello Stato» (comma 7).

Sul punto il Consiglio ha richiamato la consolidata giurisprudenza secondo la quale contravviene all'art. 36 C.D.F. il praticante avvocato che agisca in giudizio al di là delle competenze per materia e valore consentitegli dalla legge. Questo prescinde dalla spendita o meno del titolo di avvocato, in quanto ciò che assume rilevanza e disvalore è il comportamento dell'iscritto che abbia assunto il mandato pur non essendo in possesso della necessaria abilitazione per l'esercizio dell'attività difensiva (C.N.F. sentenza n. 176 del 25 ottobre 2021; (C.N.F. sentenza del 11 giugno 2015, n. 90).

Quanto alla misura della sanzione, il Consiglio ha rammentato che agli organi disciplinari (il C.D.D. in prima istanza; il C.N.F. in sede di appello) è riservato il potere di applicare la sanzione adeguata alla gravità ed alla natura del comportamento deontologicamente non corretto (cfr. Cass. SS.UU. 13791/12).

 Infatti il codice deontologico prevede che:

  • la sanzione debba essere determinata sulla base dei fatti complessivamente valutati (art.3);
  • è unica anche quando siano contestati più addebiti nell'ambito del medesimo procedimento (art.21);
  • deve essere «commisurata alla gravità del fatto, al grado della colpa, all'eventuale sussistenza del dolo ed alla sua intensità, al comportamento dell'incolpato, precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle circostanze, soggettive e oggettive, nel cui contesto è avvenuta la violazione» e che si debba comunque tenere conto «del pregiudizio eventualmente subito dalla parte assistita e dal cliente, della compromissione dell'immagine della professione forense, della vita professionale, dei precedenti disciplinari».

Il Consiglio ha chiarito che tutte queste circostanze costituiscono dei criteri che concorrono alla valutazione del comportamento complessivo dell'incolpato, ai fini della determinazione della sanzione.

Nel caso di specie la condotta tenuta dalla praticante è stata reiterata nonché è connotata da un'oggettiva gravità tale da compromettere l'immagine dell'avvocatura.

Da tutti questiono elementi discende la congruità della sanzione nella misura applicata dal C.D.D.

Per questi motivi il Consiglio Nazionale Forense ha rigettato il ricorso.

 

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