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Avvocato corrotto: alla sanzione penale deve aggiungersi la radiazione dall’albo

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 Con la sentenza n. 29878, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno confermato l'applicazione della sanzione disciplinare della radiazione ad un avvocato che, per il medesimo fatto corruttivo, era stato già condannato in sede penale alla pena accessoria della sospensione dalla professione, escludendo che si potesse incorrere in una violazione del principio del ne bis in idem atteso che "la sanzione disciplinare e quella penale hanno finalità̀, intensità̀ ed ambiti di applicazione diversi, sicché̀ non è coerente con il sistema pervenire ad una loro identificazione".

Sul merito della questione aveva statuito, inizialmente, il Consiglio dell'Ordine di Roma che, con sentenza, infliggeva la sanzione disciplinare della radiazione dall'albo a un avvocato condannato per corruzione in atti giudiziari; contro il legale si era incardinato anche un procedimento penale, all'esito del quale gli era stata inflitta la pena accessoria della sospensione dalla professione di avvocato per anni 3 e mesi 8.

Il Consiglio Nazionale Forense, ritenuta accertata la violazione del codice deontologico forense, confermava la sanzione applicata.

Il legale, ricorrendo in Cassazione, censurava, tra le altre cose, una violazione del principio del ne bis in idem – come scolpito dalla giurisprudenza Europea, dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione – anche in correlazione con l'art. 4 del Protocollo n. 7 Cedu: secondo il ricorrente, infatti, la medesima condotta censurata era stata già sanzionata dal giudice penale con l'applicazione di una pena accessoria, sicché l'irrogazione della più grave sanzione disciplinare della radiazione dall'albo aveva, di fatto, violato il principio del ne bis in idem.

Le Sezioni Unite non condividono le tesi difensive del ricorrente.

 Gli Ermellini evidenziano come non può ipotizzarsi la violazione dell'art. 6 CEDU e del principio del ne bis in idem alla luce delle diverse motivazioni, della diversa natura e dei diversi fini del processo penale e del procedimento disciplinare.

Ed, invero, il procedimento disciplinare non è rivolto alla generalità dei consociati, ma solo agli appartenenti ad un ordine professionale, i quali – per tutelare l'immagine della categoria – sono soggetti a precisi obblighi deontologici. Questi ultimi costituiscono doveri additivi, derivanti dalla specifica appartenenza alla categoria professionale protetta, il cui esercizio impone il rispetto di tutti quei doveri previsti dalla normativa professionale e l'assoggettamento a tutte le sanzioni che, nel ristretto ambito professionale, ne conseguano: essendo la sanzione preordinata all'effettivo adempimento degli obblighi deontologici, ad essa non può attribuirsi natura sostanzialmente penale.

Inoltre, a conferma della diversità dei due ambiti, si rileva che l'azione disciplinare può essere promossa indipendentemente dall'azione penale relativa allo stesso fatto, e ben può il procedimento disciplinare proseguire anche dopo il giudicato penale di condanna con pena accessoria; la diversità di natura delle sanzioni è confermata (anche) dalla circostanza che la pena accessoria può estinguersi nel corso del tempo, laddove la sanzione disciplinare della radiazione ha effetti permanenti.

Sotto altro aspetto la Cassazione evidenzia come la ricostruzione fattuale operata in sede penale ha efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare solo in relazione all'accertamento del fatto, alla sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, ma non esplica alcuna efficacia in ordine alla valutazione sulla rilevanza del fatto e sulla personalità del suo autore sotto il profilo deontologico, essendo tale apprezzamento riservato al giudice disciplinare.

 Nel caso di specie, sotto il profilo disciplinare, il C.N.F. ha evidenziato la grandissima eco mediatica che il grave episodio corruttivo ha avuto, manifestandosi quale esempio paradigmatico di corruttela a vari livelli, arrecando un grave danno all'immagine ed alla dignità dell'intero ceto forense anche per la reiterazione degli episodi in un rilevante arco temporale e per l'allarme sociale determinato dal professionista con la sua condotta.

Tali elementi giustificano la scelta della radiazione quale sanzione adeguata per le violazioni dei principi di lealtà, probità, dignità, decoro e diligenza e, sul punto, la sentenza impugnata spende parole durissime per l'avvocato: "l'aver concorso alla "compravendita" di atti giudiziari per giungere ad un risultato diverso se non opposto da quello che avrebbe dovuto essere il frutto di un corretto percorso processuale è di tale gravità che non vi dovrebbe neppure essere necessità di sottolineare l'accentuato disvalore di una condotta corruttiva realizzata dai principali interpreti della funzione giudiziaria finalizzata a comprometterne la correttezza di eserciziol'enorme gravità del reato accertato nella fattispecie, la spiccata intensità del dolo, la propensione a delinquere di chi, dopo aver effettuato un giuramento, abbia venduto la propria professionalità, indipendenza e correttezza costituiscono elementi insuperabili tali da inibire ogni disquisizione favorevole".

La Cassazione rigetta il ricorso e conferma l'irrogazione della sanzione.

 

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