Se questo sito ti piace, puoi dircelo così
Alcuni giorni fa si è assistito, nel mondo forense, anche a seguito del clamore suscitato da un paio di gravissimi fatti di cronaca, di opinioni espresse da alcuni avvocati e di alcuni comunicati, al riguardo, delle Camere penali - richiamate anche in un discusso articolo pubblicato ne Il Dubbio - alla ripresa di un dibattito mai del resto sopito ed anzi più che mai attuale, quello sul possibile rifiuto di un incarico di difesa motivato da insopprimili ragioni di carattere etico-morale ritenute dal professionista alla base del proprio sistema valoriale. Circostanze che possono ricorrere sia che si tratti di difesa di fiducia, sia anche quando invece l'avvocato sia iscritto, per esempio, nell'elenco dei difensori d'ufficio ma, pur concordando sul principio che tutti abbiano diritto ad una difesa e ad un difensore, non si sente, per ragioni personalissime di assumere una determinata difesa. Quid, allora? Si tratta di un rifiuto che, anche quando - nel secondo caso - motivato ai sensi dell'art. 97, 5, cpp potrebbe esser giudicato arbitrario o perfino rilevante deontologicamente, oppure appartiene al diritto dell'Avvocato? Sul tema, di particolare complessità, interviene Giorgio Lombardi, Avvocato del Foro di Roma e soprattutto - per quanto qui in rilievo - Consigliere Distrettuale di disciplina del Lazio. Il quale sembra pensarla differentemente rispetto alle tesi rigoriste alimentate da qualcuno nei giorni scorsi. Ecco quanto ci ha scritto.