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Penalisti, attacco a Mani Pulite: "Sovvertirono Stato". Anm: "Non rispettano lutto, avvocati grati a Borrelli"

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"Leggiamo sdegnati il comunicato della Giunta delle Camere Penali, diffuso oggi, a preteso ricordo di Francesco Saverio Borrelli". È l'incipit del durissimo comunicato con cui l'Associazione Nazionale Magistrati ha replicato ad una nota che le Camere Penali - U.C.P.I. - hanno ritenuto - con una scelta che ha del sorprendente - di diffondere  proprio il giorno dei funerali del procuratore emerito della Repubblica di Milano, e capo del pool "Mani pulite" Francesco Saverio Borrelli. Il quale, poco prima, era stato celebrato  dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che lo aveva definito "magistrato di altissimo valore, impegnato per l'affermazione della supremazia e del rispetto della legge, che ha servito con fedeltà la Repubblica". 

Un giudizio, quello del Capo dello Stato, espresso nell'esercizio delle proprie funzioni, e quindi in nome del popolo italiano, profondamente contrastante - fanno rilevare i magistrati - con quello, durissimo, espresso invece dalle Camere Penali, anche se non nei confronti dell'uomo, ma del magistrato. Sorprendente - si rileva nella nota dell'associazione -"che un organismo rappresentativo dell'avvocatura italiana ignori le regole elementari del rispetto, persino nel giorno del lutto, che la migliore parte del paese, a cominciare dal Presidente della Repubblica, ha dolorosamente manifestato per la scomparsa di un gigante della storia repubblicana, come Francesco Saverio Borrelli. E lo faccia, peraltro, con la più bieca e triste polemica, con un insieme di rozzi luoghi comuni, accostando volgarmente episodi e fatti, con un intento di polemica politica che sconcerta e offende la persona, la memoria, la storia, le istituzioni, e l'intera Magistratura". Un comunicato durissimo, che tuttavia non intende prestare il fianco alle generalizzazioni.  Criticabili, censurabili le parole espresse nella nota dei penalisti della U.C.P.I. ma non la categoria degli avvocati. "Ci conforta sapere che altro è il rispetto che i singoli avvocati hanno mostrato oggi, sfilando in toga davanti al feretro del nostro Saverio", si conclude la nota dell'Associazione Nazionale Magistrati. 

Saranno i lettori, come sempre, ad esprimere liberamente il proprio giudizio. Per quanto ci riguarda, preferiamo astenerci, in questi giorni di lutto per la scomparsa di un Uomo e Magistrato integerrimo, dall'esprimere ulteriori opinioni, riconoscendoci integralmente nelle parole espresse dal Presidente della Repubblica, fatte peraltro proprie dagli Avvocati che, a Milano come in qualsiasi parte d'Italia, hanno tributato un plauso all'uomo che, in un momento storico nel quale Il paese era avvolto dalla corruzione, eretta a sistema di governo, preferì stare dalla parte della Costituzione e della legalità, rendendo un servizio importante al proprio paese. Riteniamo che questo giudizio storico, che non cancella naturalmente errori e deviazioni, meriti di essere mantenuto integro, e che costituisca un patrimonio  inemendabile non sono  per la Magistratura ma anche e soprattutto per l'Avvocatura, come per ogni cittadino italiano.
Riportiamo infine il comunicato delle Camere Penali lasciando, come al solito, a ciascuno dei lettori le opportune ed autonome considerazioni.

"Con Francesco Saverio Borrelli scompare un protagonista prestigioso della vita pubblica italiana. L'alta professionalità del magistrato, così come la integrità morale della persona, non sono in discussione, ed i penalisti italiani, nel riconoscerle entrambe, esprimono con sincerità il più profondo cordoglio per la sua scomparsa.

Tuttavia, il triste evento non può costituire l'occasione né di servile ipocrisia, né di manipolazione della reale eredità storica e culturale di quella tempesta giudiziaria e politica che fu Mani Pulite.

Proprio oggi, di fronte allo spettacolare disvelamento della più grave crisi che la Magistratura italiana sia stata chiamata ad affrontare nella storia repubblicana, occorre dire con chiarezza che essa affonda tutta intera le radici esattamente in quella stagione giudiziaria, che segnò appunto il radicale sovvertimento dei fondamentali principi di separazione dei poteri dai quali trae alimento vitale la nostra democrazia costituzionale.

Nasce con quella inchiesta la trasfigurazione del potere giudiziario inquirente nel più formidabile, incontrollabile ed irresponsabile potere politico mai esercitato nel nostro Paese; e prende corpo in quella inchiesta la più eclatante rinunzia della magistratura giudicante alla propria autonomia ed indipendenza rispetto alla magistratura inquirente.

Mani Pulite, lungi dal poter essere beatificata, è entrata nella storia del diritto italiano per il grave e diffuso arretramento delle garanzie processuali che quella inchiesta determinò, con estese influenze negative su tutto il sistema giudiziario, tuttora presenti.

Come non ricordare, innanzi tutto, l'artifizio processuale di iscrivere le centinaia di notizie di reato per i più vari e diversi fatti corruttivi o concussivi addebitati a centinaia di politici locali e nazionali in un unico procedimento penale, così determinandosi la scelta, da parte dell'inquirente, dell'unico suo giudice delle indagini preliminari.

Così come si deve rammentare la scelta metodica, sistematica e d'altronde apertamente rivendicata, di utilizzare la qualificazione giuridica del fatto contestato (corruzione o invece concussione) quale strumento di induzione alla confessione dell'imprenditore interrogato, pronto ad essere trasfigurato da imminente detenuto con il marchio del corruttore, a felice e collaborativa parte offesa della concussione del politico di turno.

L'utilizzo sistematico della custodia cautelare fu proprio il segno distintivo di tale inchiesta, senza che vi fosse alcuno scrupolo, dopo la consequenziale confessione e soprattutto la chiamata in correità, a dichiarare insussistenti quelle stesse esigenze di restrizione che addirittura poche ore prima erano state ritenute gravi ed insuperabili, a dimostrazione di come il motore del procedimento si alimentasse essenzialmente della "collaborazione" del carcerato, del carcerando o del carcerabile.

Un meccanismo perverso ed estraneo alle regole codicistiche che per alcuni si rivelò fatale: la diffusione mediatica dello stato dell'indagine per condizionare le scelte processuali, la spettacolarizzazione degli arresti, la lunga custodia carceraria di chi non ammetteva gli addebiti (e magari non aveva nulla da ammettere e sarebbe poi stato assolto), crearono un clima di autentico terrore a cui vanno ricondotti i gesti estremi di quanti videro distrutta la propria dignità personale, professionale e familiare ben prima di un giudizio che essi preconizzarono come drammaticamente inutile.

Ma fu soprattutto l'aver attribuito ad un ufficio di Procura un potere politico senza pari ad aver segnato in modo definitivo la deriva costituzionalmente anomala della magistratura inquirente verso i disastri che oggi tutti possono vedere, toccare con mano e finalmente comprendere: tra gli incredibili pubblici interdetti del c.d. Pool di allora nei confronti di provvedimenti legislativi di prossima approvazione e l'attuale guerra intestina per il controllo dei più importanti incarichi giudiziari, vi è un rapporto di filiazione fondato sulla alterazione del principio di separazione tra i poteri dello Stato.

Così pure è alla stagione di Mani Pulite che deve essere ricondotto quel populismo giustizialista che, indicando nel magistrato inquirente anziché nella politica della democrazia parlamentare l'unico protagonista possibile del rinnovamento di una nazione, ha generato una legislazione penale e processuale contraria ai principi di uno stato liberale.

Si tratta di lasciti che hanno avvelenato per decenni, ed ancora oggi avvelenano, la vita giudiziaria del nostro Paese.

Roma, 22 luglio 2019

La Giunta U.C.P.I."

 

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