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Occhio ai manifesti pubblicitari, anche se affissi da altri, per l'imposta impagata, è sanzionabile il beneficiario

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 Poter pubblicizzare la propria attività commerciale o un evento è importante. Ma bisogna tener conto di alcuni adempimenti. Ad esempio, affiggere un manifesto pubblicitario o una locandina comporta la necessità di richiedere un'autorizzazione all'ufficio preposto dal Comune e di corrispondere la relativa imposta. Qualora si proceda all'affissione senza il rispetto di tale procedura, si rischia di incorrere in una sanzione. Ma chi risponde di tale sanzione? Il beneficiario o coloro che sono autori materiali della violazione? Proprio di questo si è occupata la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 100 del 4 gennaio 2019.

Ma ripercorriamo la questione sottoposta all'esame dei Giudici di legittimità.

La ricorrente è destinataria di un'ordinanza, con cui l'ufficio preposto dal Comune per le imposte relative alle affissioni di manifesti pubblicitari le ha ingiunto il pagamento di euro 5.333,60 (di cui euro 418,60 quale sanzione amministrativa pecuniaria). La richiesta di tale pagamento trova fondamento nella violazione dell'art. 24, comma 2, D.Lgs. n. 507/1993 (Revisione ed armonizzazione dell'imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell'art.4 Legge n.421/1992, concernente il riordino della finanza territoriale) e del Regolamento comunale di pubblicità. Contro tale ordinanza, la ricorrente ha proposto opposizione: opposizione, questa, che è stata accolta dal Giudice di Pace. In grado d'appello, il Tribunale, investito dell'impugnazione, ha riformato la sentenza e ha rigettato l'opposizione della ricorrente.

Così il caso è giunto dinanzi ai Giudici di legittimità. 

Innanzitutto, appare opportuno evidenziare che l'art. 24, D.Lgs. n. 507/1993 stabilisce che il comune è tenuto a vigilare sulla corretta osservanza delle disposizioni legislative e regolamentari riguardanti l'effettuazione della pubblicità. Alle violazioni di dette disposizioni conseguono sanzioni amministrative [...]. Per queste violazioni, secondo il pacifico orientamento giurisprudenziale, la responsabilità spetta solidalmente:

  • all'ente giuridico, a beneficio del quale l'attività pubblicitaria è svolta, se dette violazioni sono commesse dal rappresentante o dai dipendenti, nell'esercizio delle loro funzioni;
  • ai soggetti che si adoperano per la diffusione del materiale pubblicitario e che sono legati alla persona giuridica o all'ente da rapporti caratterizzati in termini di affidamento (inteso come materiale consegna all'autore della violazione del materiale pubblicitario) o di avvalimento (inteso come attività di cui il committente si giova) (cfr. Cass. n. 13770 del 2009).

Detto questo, risulta, tuttavia, doveroso precisare che, affinché sussista la responsabilità solidale dell'ente giuridico, non è sufficiente che quest'ultimo tragga solo beneficio dall'attività pubblicitaria posta in essere dai soggetti innanzi citati. Infatti, quando si verificano delle violazioni come quelle in esame, occorre che:

  • l'attività in questione sia riconducibile all'iniziativa dell'ente stesso, in qualità di committente o di autore del messaggio pubblicitario;
  • risulti provato il rapporto tra l'autore della trasgressione e il beneficiario.


Orbene, tornando al caso in esame, la Suprema Corte di Cassazione ritiene che la ricorrente sia responsabile. Tale convincimento discende da quanto è emerso dalle risultanze del giudizio di merito. In buona sostanza, nel corso di tale giudizio, è stato dimostrato che:

  • la ricorrente non è una semplice beneficiaria dell'attività in questione;
  • detta attività è riconducibile proprio all'iniziativa della stessa ricorrente.

Né, peraltro, quest'ultima ha provato il contrario. Diverso sarebbe stato se l'opponente avesse dimostrato, ad esempio, che gli autori materiali della violazione avessero agito ponendo in essere una condotta contraria a sue particolari direttive impartite proprio al fine di impedire la violazione contestata. In tali casi, la ricorrente avrebbe potuto essere esonerata dalla responsabilità in quanto l'iniziativa non sarebbe stata più riconducibile alla stessa. La realtà dei fatti, però, è diversa e la responsabilità dell'opponente resta ferma. Ad avviso dei Giudici di legittimità, inoltre, tale responsabilità non viene meno nemmeno se si tiene conto, nel caso di specie, della mancata individuazione delle persone fisiche che materialmente hanno proceduto all'affissione illecita della locandina. Infatti, secondo la Suprema Corte di Cassazione, tale circostanza non impedisce l'applicazione dei principi sanciti dall'orientamento giurisprudenziale su richiamato. E ciò in quanto la sussistenza della responsabilità della ricorrente discende dalla prova del rapporto di avvalimento (inteso come attività di cui il committente si giova); prova, questa, che è stata raggiunta nel corso del giudizio di merito. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, i Giudici di legittimità, ritenendo infondate le doglianze della ricorrente, hanno confermato la sentenza di secondo grado e hanno rigettato l'impugnazione. 

 

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