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Con la sentenza n. 13274 dello scorso 16 maggio, la I sezione civile della Corte di Cassazione – chiamata a pronunciarsi sulla sindrome di alienazione parentale – ha accolto il ricorso di una madre cui le era stato tolto l'affidamento del figlio per l'atteggiamento oppositivo che aveva contribuito a creare un allontanamento morale e materiale tra padre e figlio.
Si è difatti rilevato che la sentenza impugnata non aveva sufficientemente argomentato circa l'inidoneità della madre all'affidamento condiviso, specificando che "qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro genitore di allontanamento morale e materiale del figlio da sé ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova (tra cui, l'ascolto del minore), incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia".
Sul merito della vicenda si era pronunciato inizialmente il Tribunale di Venezia il quale, dichiarata la separazione personale tra i coniugi, all'esito di due consulenze tecniche psicologiche, disponeva l'affidamento del figlio minore in via esclusiva al padre, previo immediato allontanamento dalla casa, ove viveva con la madre, e collocazione dello stesso, per un semestre, presso una Comunità, dedicata alla cura ed al sostegno dei minori, stabilendo, per il periodo successivo, il collocamento presso il padre.
In particolare, il Tribunale – rilevato l'atteggiamento del minore di totale rifiuto del padre e considerato l'atteggiamento oppositivo della madre, scarsamente propensa a mettersi in discussione e non interessata ad individuare le ragioni del comportamento anomalo del figlio con l'ex marito – riteneva che il provvedimento, temporaneo, di affidamento del minore in via esclusiva all'uomo risultasse necessario al fine di porre le condizioni per la concreta attuazione del principio di bigenitorialità.
La Corte d'Appello di Venezia confermava la decisione di primo grado, ritenendo corretto il giudizio espresso dal ctu – e fatto proprio dal Tribunale – in ordine al fatto che il comportamento materno aveva inciso nella diagnosi di alienazione parentale del figlio nei confronti del padre, avendo la donna progressivamente sostituito la figura del padre biologico con quella del nonno materno; alla luce di tanto, la Corte intravedeva una marcata violazione del principio della bigenitorialità.
Contro siffatta sentenza, proponeva ricorso per Cassazione la madre lamentandosi, anche alla luce delle norme della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, perché, sebbene non ricorresse alcun grave caso contemplato dalla legge e senza che si fosse adeguatamente motivata la scelta di sottrarre il bambino all'ambiente materno, la Corte si era limitata ad evidenziare l'inidoneità della madre, omettendo di analizzare i motivi del rifiuto, da parte del minore, del padre.
La Cassazione condivide i rilievi sollevati dalla ricorrente.
Gli Ermellini evidenziano che, in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell'esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell'unione, va formulato tenendo conto del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti e delle rispettive capacità di relazione affettiva, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità.
Con specifico riferimento ai casi di alienazione parentale, qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro genitore di allontanamento morale e materiale del figlio da sé ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova (tra cui, l'ascolto del minore), incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia.
Difatti, la giurisprudenza è sul punto unanime nel ritenere che, a prescindere dalle obiezioni sollevate dalle parti, qualora la consulenza tecnica presenti devianze dalla scienza medica ufficiale (come avviene nell'ipotesi in cui sia formulata la diagnosi di sussistenza della PAS, non essendovi certezze nell'ambito scientifico) il Giudice del merito, ricorrendo alle proprie cognizioni scientifiche oppure avvalendosi di idonei esperti, è comunque tenuto a verificarne il fondamento con ogni mezzo.
Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte d'appello ha dato risalto alla diagnosi di sindrome da alienazione parentale formulata dai consulenti tecnici, fondata sul difficile rapporto tra padre e figlio e sul comportamento materno, tendente ad escludere l'altro genitore così alienando il figlio nei confronti del padre. Tuttavia, la sentenza impugnata non ha sufficientemente argomentato circa l'inidoneità della madre all'affidamento (sebbene fosse emerso il legame profondo con il figlio), né ha spiegato perché l'affidamento in via esclusiva al padre, previo collocamento temporaneo dello stesso in una comunità o casa - famiglia, costituisse l'unico strumento utile ad evitare al minore un più grave pregiudizio ed ad assicurare al medesimo assistenza e stabilità affettiva, nell'ottica di assicurare l'esercizio del diritto del minore ad una effettiva bigenitorialità.
In conclusione, la Corte accoglie il motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'appello di Venezia, in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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