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Morte paziente, violazione delle linee guida non sufficiente a condanna medico

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Con la sentenza n. 43794 dello scorso 3 ottobre, la Cassazione penale ha assolto un medico di guardia dal reato di omicidio colposo ascrittogli a seguito del decesso di un paziente cardiopatico, ritenendo che "la condotta del sanitario benché non conforme alla buona pratica, non aveva avuto un ruolo causale nel determinismo dell'evento morte che alla luce del quadro clinico si sarebbe, comunque, verificato oltre ogni ragionevole dubbio".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un medico per la morte di un uomo, soggetto cardiopatico, che decedeva subito dopo essersi recato presso la guardia medica lamentando dolori al torace e, più in generale, una sintomatologia riferibile ad un possibile infarto.

Nel corso dell'istruttoria compiuta durante il giudizio di merito era emerso che il sanitario aveva commesso plurime omissioni o negligenze, violando altresì le linee guida previste dalla comunità scientifica internazionale per il trattamento di un paziente con una chiara sintomatologia da sindrome cardiocircolatoria (tra cui, monitorare il paziente per avere una traccia ECG grafica per valutare il ritmo cardiaco, incanalare una vena periferica per somministrare farmaci ed eventuale terapia iniettiva).

Ciononostante, sia il Tribunale di Trapani che Corte di Appello di Palermo escludevano la responsabilità dell'imputato ritenendo che la condotta del sanitario, benché non conforme alla buona pratica, non aveva avuto un ruolo causale nel determinismo dell'evento morte che, alla luce del quadro clinico, si sarebbe, comunque, verificato oltre ogni ragionevole dubbio.

I giudici giungevano a tale decisione valorizzando il percorso scientifico dei periti nominati dal tribunale, i quali – valutata la già grave situazione cardiologica in cui si trovava la vittima all'arrivo presso la guardia medica – avevano sostenuto che l'effettuazione del tracciato elettrocardiografico non avrebbe avuto alcuna prioritaria rilevanza diagnostica né un'immediata utilità terapeutica, stante il breve lasso di tempo intercorso tra il momento dell'arrivo presso la guardia medica della vittima e l'evento infausto; in relazione agli altri errori computi (mancata somministrazione dell'adrenalina per via venosa e di antiaggreganti piastrinici e betabloccanti) si rimarcava che tali interventi, anche se correttamente eseguiti, non avrebbero avuto l'effetto terapeutico sperato, considerate le già compromesse funzioni cardiache. 

 Ricorrevano in Cassazione gli eredi dell'uomo e il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello, che evidenziavano le omissioni e i plurimi errori compiuti dal sanitario: il medico, infatti, non aveva rilevato la pressione arteriosa del paziente, non aveva predisposto l'accesso venoso, non aveva effettuato l'ECG, non aveva praticato né il massaggio cardiaco né alcuna terapia farmacologica, non aveva somministrato l' ossigeno, non aveva effettuato la defibrillazione né aveva praticato l'adrenalina secondo le linee guida.

In secondo luogo, si censurava la sentenza della Corte di Appello per aver erroneamente valutato le emergenze processuali ( quali il quadro clinico dell'uomo al momento del suo arrivo presso la guardia medica), così escludendo la sussistenza del nesso di causalità, senza procedere a una doverosa verifica in ordine al fatto che l' uomo, poco prima dell'episodio coronarico acuto, era in buone condizioni: la difesa dei ricorrenti sosteneva, quindi, che il paziente non versava ancora in una grave situazione di scompenso cardiaco sicché – se il medico avesse operato diligentemente avrebbe avuto elevate possibilità di sopravvivere all'evento aritmico.

La Cassazione non condivide le doglianze dei ricorrenti che - limitandosi alla generica enumerazione di una serie di ipotetici vizi di motivazione della decisione contestata – nei fatti appaiono richiedere una proposta di rilettura (inammissibile in sede di legittimità) delle fonti di prova acquisite al processo.

I Supremi Giudici premettono che il sindacato di legittimità ha per oggetto la verifica della struttura logica del provvedimento e non può, quindi, estendersi all'esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo: solo l'argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato può essere sottoposto al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, ed all'esigenza della completezza espositiva.

 Ciò premesso, la sentenza in commento precisa che, nel caso di specie, non vengono in discussione le condotte negligenti dell'imputato, ma si tratta solo di verificare la loro incidenza sull' esito infausto oltre ogni ragionevole dubbio: secondo la Cassazione tale incidenza è stata esclusa dai giudici di merito con argomentazioni tali da resistere alle censure di tutte le parti ricorrenti.

In particolare, la Corte d'appello "valorizzando il percorso scientifico dei periti nominati dal tribunale ha correttamente proceduto a escludere la responsabilità del medico ritenendo che la condotta del sanitario, benché non conforme alla buona pratica, non aveva avuto un ruolo causale nel determinismo dell'evento morte che alla luce del quadro clinico si sarebbe, comunque, verificato oltre ogni ragionevole dubbio".

secondo la Cassazione

Gli Ermellini condividono appieno le conclusioni della sentenza impugnata, nella parte in cui ha concluso che tutte le contestate omissioni e negligenze dell'imputato non avevano avuto alcuna incidenza causale concreta sulla morte del paziente; si sottolinea, inoltre, come la decisione impugnata non è censurabile, avendo il giudice di merito "motivato adeguatamente, con valutazione critica di tutti gli elementi offerti dall'istruttoria dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logico- giuridico, degli argomenti dai quali è stato tratto il proprio convincimento".

Compiute queste precisazioni, la Cassazione – rilevato non fosse stato provato il nesso causale – rigetta il ricorso, condannando le parti civili al pagamento delle spese di lite.

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