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Con l'ordinanza n. 21916 dello scorso 30 agosto, la I sezione civile della Corte di Cassazione, ha accolto la richiesta di una mamma che, nel corso della separazione dal marito, insisteva affinché il figlio, già battezzato nella Chiesa Cattolica, ricevesse l'istruzione religiosa propria della dottrina geovista da lei praticata.
La Corte, sancendo l'irrilevanza pratica di qualsiasi scelta pregressa compiuta dai genitori, ha rimarcato come "ancorare qualsiasi provvedimento restrittivo ad una scelta pregressa di un genitore (quale quella di acconsentire al battesimo), senza considerare l'attualità delle determinazioni religiose del medesimo genitore, lederebbe il mantenimento di un rapporto equilibrato e paritario con entrambi i genitori, rimanendo insensibile alle scelte di vita in divenire dei genitori. Di contro, la possibilità da parte del giudice di adottare provvedimenti contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà dei genitori in tema di libertà religiosa può dipendere esclusivamente dall'accertamento in concreto, attraverso l'osservazione e l'ascolto del minore, di conseguenze pregiudizievoli per il figlio che ne compromettano la salute psico-fisica e lo sviluppo.
Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio da una separazione di una coppia dei coniugi, nell'ambito della quale il giudice regolava, tra le altre cose, anche le questioni concernenti l'educazione religiosa del loro figlio minore.
In particolare la mamma, testimone di Geova, insisteva affinché il bambino, che era stato battezzato nella Chiesa Cattolica, ricevesse l'istruzione religiosa propria della dottrina geovista e partecipasse con lei alle relative cerimonie presso la Sala del Regno.
Il Tribunale di Como, nel valutare come settaria la comunità religiosa scelta dalla mamma, reputava che la scelta paterna fosse maggiormente rispondente all'interesse del piccolo, consentendogli più agevolmente l'integrazione nel tessuto sociale e culturale del contesto di appartenenza, da sempre di matrice cattolica.
A tal fine, prescriveva al padre di accompagnare il bambino nel percorso di educazione religiosa da lui prescelto, favorendone l'inserimento nella comunità parrocchiale di appartenenza; ordinava, al contempo, alla madre di astenersi, onde non destabilizzare il bambino, dall'impartirgli ulteriori insegnamenti della dottrina geovista e dal condurlo alle relative cerimonie.
Anche la Corte di appello di Milano riteneva che la scelta di inserire il bambino nella comunità della Chiesa Cattolica fosse rispondente all'interesse del minore e, per l'effetto, confermava la sentenza del giudice di prime cure; nel compiere tale scelta il giudicante, senza ascoltare il minore, attribuiva valenza decisiva all'originaria scelta di entrambi i genitori di battezzare il proprio figlio.
Ricorrendo in Cassazione, la mamma censurava la decisione evidenziando come non fosse emerso quale effettivo, concreto e grave pregiudizio sarebbe derivato al minore dall'insegnamento della dottrina da lei professata; rilevava inoltre come gli ordini impartitole fossero contrastanti con i principi della Costituzione italiana e con quello della laicità dello Stato.
La Cassazione condivide la posizione del ricorrente.
In punto di diritto la Corte ricorda che, in tema di affidamento dei figli, il criterio fondamentale cui deve attenersi il giudice nel fissare le relative modalità, in caso di conflitto genitoriale, è quello del superiore interesse del minore, stante il suo diritto preminente ad una crescita sana ed equilibrata: il perseguimento di tale obiettivo può comportare anche l'adozione di provvedimenti, relativi all'educazione religiosa, contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà dei genitori, ove la loro esplicazione determini conseguenze pregiudizievoli per il figlio, compromettendone la salute psico-fisica o il suo sviluppo.
La sentenza in commento specifica, inoltre, che – qualora i genitori si trovino in una situazione di conflitto, volendo entrambi trasmettere la propria educazione religiosa e non essendo in grado di rendere compatibile il diverso apporto educativo derivante dall'adesione a un diverso credo religioso – il giudice non può disporre provvedimenti restrittivi sulla base di una astratta valutazione delle religioni cui aderiscono i genitori: tale giudizio di valore è, difatti, precluso all'autorità giudiziaria dal rilievo costituzionale e convenzionale Europeo del principio di libertà religiosa.
Analogamente, non può il giudice fondare qualsiasi provvedimento restrittivo sull'adesione successiva di uno dei due genitori a una religione diversa rispetto a quella che precedentemente era seguita e praticata da entrambi e che, originariamente, è stata trasmessa al figlio come religione comune della famiglia: ancorare qualsiasi provvedimento restrittivo ad una scelta pregressa di un genitore (quale quella di acconsentire al battesimo), senza considerare l'attualità delle determinazioni religiose del medesimo genitore, lederebbe il mantenimento di un rapporto equilibrato e paritario con entrambi i genitori, rimanendo insensibile alle scelte di vita in divenire dei genitori.
In conclusione, la possibilità da parte del giudice di adottare provvedimenti contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà dei genitori in tema di libertà religiosa può dipendere esclusivamente dall'accertamento in concreto, attraverso l'osservazione e l'ascolto del minore, di conseguenze pregiudizievoli per il figlio che ne compromettano la salute psico-fisica e lo sviluppo.
La Cassazione accoglie, quindi, il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione.
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