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Scuola, uso cellulare. TAR: nessuna sanzione senza contestazione dell'addebito allo studente

Tar

Con sentenza del 13 giugno 2018 n. 1494, il TAR Lombardia ha stabilito che nel caso in cui a uno studente venga imputata una condotta presumibilmente irrispettosa, la scuola deve invitare lo studente stesso ad esporre le proprie ragioni. E ciò non solo al fine di garantire il contraddittorio tra le parti, ma anche al fine di ricostruire in maniera precisa il fatto che ha determinato tale comportamento. Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame del TAR.

Con ricorso depositato dinanzi al TAR Lombardia, i ricorrenti, genitori della minore frequentante una scuola secondaria di primo grado, hanno impugnato il provvedimento emesso da tale scuola, con cui è stata comminata, alla loro figlia, la sanzione disciplinare del richiamo scritto. In buona sostanza nel predetto provvedimento è stato sostenuto che, durante le ore scolastiche, l'alunna ha usato il telefono cellulare senza l'autorizzazione dell'insegnante. Conseguentemente a tale episodio, il consiglio di classe ha deciso di assegnare alla predetta alunna un voto in condotta pari a "sette": decisione, questa, anch'essa impugnata dai ricorrenti.

Il TAR, nel caso in oggetto, innanzitutto, parte dall'esame dell'art. 4 del D.P.R. n. 249 del 24 giugno 1998 ("Regolamento recante lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria"), secondo cui "nessuno studente può essere sottoposto a sanzioni disciplinari senza essere stato prima invitato ad esporre le proprie ragioni". La ratio di tale disposizione è evidente:

  • da un lato, garantire la partecipazione dello studente al procedimento sanzionatorio e, quindi, garantire il contraddittorio tra le parti;
  • dall'altro, procedere alla ricostruzione dei fatti di cui lo studente è incolpato.  

Orbene, nella questione qui presa in considerazione, la scuola, prima di procedere all'irrogazione della sanzione, avrebbe dovuto contestare gli addebiti all'alunna e invitarla ad esporre le sue ragioni sull'episodio. Tutto questo, in realtà, non è accaduto. Infatti, l'istituto scolastico non ha né comunicato alla figlia dei ricorrenti quali fossero i comportamenti alla stessa contestati, né ha chiesto a quest'ultima chiarimenti sulla vicenda. Con l'ovvia conseguenza che l'amministrazione, omettendo di ascoltare la minore, ha posto in essere un comportamento in espressa violazione delle garanzie di cui al predetto art. 4, inficiando, così, l'intero procedimento disciplinare. Il fatto, poi, che la scuola abbia ascoltato la versione dei fatti dell'alunna al termine del procedimento disciplinare a nulla rileva. E ciò perché il principio del contraddittorio, affinché possa dirsi garantito, deve essere rispettato sin dall'inizio del procedimento sanzionatorio stesso e non quando tutto ormai è deciso e deliberato. Infatti, lo scopo di ascoltare le ragioni dell'alunna è quello di acquisire elementi utili per comprendere l'accaduto e applicare un'adeguata sanzione disciplinare. Un'acquisizione a posteriori non avrebbe più senso. Tornando al caso di specie, appare opportuno far rilevare che il rispetto delle garanzie predette, nella questione in esame, sarebbe stato ancor più importante laddove si consideri che l'uso del telefono cellulare, da parte della figlia dei ricorrenti, senza l'autorizzazione del docente, è stata una diretta conseguenza di una videoregistrazione postata su un social network, di cui l'alunna è risultata protagonista. Considerato l'episodio, sarebbe stato doveroso da parte dell'istituto scolastico interrogare quest'ultima per accertarsi se la stessa fosse stata o meno consenziente di quella videoregistrazione. Tale accertamento, indubbiamente, avrebbe consentito alla scuola di vagliare in maniera più completa la condotta dell'alunna nella vicenda e magari anche di considerare se la sanzione, in realtà, irrogata fosse effettivamente quella più adatta.  

 Questa omissione, secondo il TAR, ha comportato una violazione formale delle garanzie e un'insufficiente ricostruzione fattuale dell'episodio, con conseguente illegittimità della sanzione e dell'intero procedimento disciplinare. A parere del TAR, quindi, il provvedimento impugnato dai ricorrenti merita di essere annullato non solo per quanto sin qui detto, ma anche perché lo stesso istituto scolastico recependo, nel proprio regolamento interno, le garanzie di cui al predetto art. 4, aveva il dovere di rispettarle. Con riferimento, poi, al voto in condotta pari a "sette" assegnato all'alunna dal consiglio di classe, secondo i giudici amministrativi, tale valutazione appare esagerata. A loro parere, infatti, la scuola avrebbe dovuto tener conto della condotta sino ad allora assunta dalla figlia dei ricorrenti, ossia avrebbe dovuto prendere in considerazione il fatto che l'alunna, prima della vicenda in esame, non è stata mai destinataria di addebiti. Con l'ovvia conseguenza che non il singolo episodio avrebbe dovuto influenzare il giudizio complessivo di buona condotta della predetta alunna atteso che, ai sensi dell'art. 3, comma 2 del D.M. n. 5 del 16 gennaio 2009 ("Criteri e modalità applicative della valutazione del comportamento"), "la valutazione espressa in sede di scrutinio intermedio o finale non può riferirsi ad un singolo episodio, ma deve scaturire da un giudizio complessivo di maturazione e di crescita civile e culturale dello studente in ordine all'intero anno scolastico. In particolare, tenuto conto della valenza formativa ed educativa cui deve rispondere l'attribuzione del voto sul comportamento, il Consiglio di classe tiene in debita evidenza e considerazione i progressi e i miglioramenti realizzati dallo studente nel corso dell'anno […]. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, il Tar ha accolto il ricorso in questione e ha annullato gli atti impugnati dai ricorrenti.


 

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