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Con la pronuncia n. 24384 dello scorso 30 maggio in tema di responsabilità colposa in ambito medico sanitario, la Cassazione ha precisato che, "per poter verificare se la condotta dell'imputato sia stata penalmente rilevante, non può prescindersi da una verifica della conformità o della non conformità di tale condotta alle regole della medicina, in quanto evocate da disposizioni di legge (art. 3 lg. 189 del 2012 e art. 6 lg. 24 del 2017 introduttivo del nuovo art. 590 sexies c.p.) che, pur entrate in vigore in epoca successiva alla commissione del reato, erano più favorevoli e, perciò, potenzialmente idonee a scriminarne (o a renderne non punibile) l'operato, in base ai criteri generali stabiliti dall' art. 2 c.p." .
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende spunto dal ricorso del dottor M., ritenuto colpevole di omicidio colposo per la morte di una paziente, la quale era deceduta a seguito di un intervento chirurgico di plastica di laparatocele e a causa da una perforazione intestinale subentrata nel corso del decorso postoperatorio.
Durante il giudizio di merito, il dott. M è stato ritenuto colpevole – per imprudenza – per aver sottovalutato, in occasione di una visita effettuata dopo l'intervento di chirurgia plastica, la sintomatologia dolorosa e per non aver prescritto i necessari approfondimenti del caso.
Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell'imputato criticava la decisione della Corte d'appello nella parte in cui non aveva vagliato la presenza di linee guide e buone pratiche applicabili nel caso di specie e, di contro, sosteneva di essersi adeguato ai protocolli sanitari, ragion per cui si sarebbe dovuta applicare – quale legge più favorevole succeduta nel tempo – l'esimente di cui all'art. 3 della legge Balduzzi.
La Cassazione condivide le difese formulate dall'imputato e evidenzia gli aspetti censurabili della sentenza d'appello: non aver affatto considerato i criteri enucleati dalla letteratura scientifica in casi simili; non aver ricondotto o meno la condotta del dott. M. alle buone pratiche clinico-assistenziali prese in considerazione dalla legge Balduzzi; non aver valutato correttamente quale profilo (imprudenza, imperizia o negligenza) e quale grado (lieve e grave) della colpa venissero in rilievo.
In particolare, la Corte territoriale aveva, erroneamente, sia escluso che potesse trattarsi di imperizia (considerato il noto valore clinico e l'elevata professionalità del medico imputato)che inquadrato la condotta del dott. M. come imprudente.
L'imprudenza consiste, infatti, nella realizzazione di un'attività positiva che non si accompagni, nelle speciali circostanze del caso, a quelle cautele che l'ordinaria esperienza suggerisce di impiegare.I Supremi Giudici rilevano, invece, che la condotta tenuta dal dott. M., più che un'attività positiva, sarebbe consistita – come accertato in punto di fatto dalla stessa Corte di merito - in un'omessa o incompleta diagnosi e nell'omessa prescrizione di ulteriori accertamenti strumentali a fini diagnostici: condotta, questa, ascrivibile in parte al profilo della negligenza, in parte, e sotto altro profilo, a quello dell'imperizia. Si specifica, inoltre, che la nozione di imperizia non va rivolta al soggetto nella sua complessiva attività e alle sue capacità professionali, ma al singolo atto qualificato come colposo e che viene a lui addebitato.
Compiute queste precisazioni, la Cassazione censura la sentenza impugnata nella parte in cui, non avendo minimamente preso in considerazione il profilo dell'imperizia, non si è soffermata sull'applicabilità, al caso di specie, della causa di non punibilità ex art. 590 sexies.
Ai sensi del surriferito articolo, introdotto dalla legge Gelli-Bianco, qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa se sono state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali. La giurisprudenza (Sezioni Unite, sentenza n. 8770/2017) ha precisato che, anche in caso di imperizia, l'esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa: se l'evento si è verificato a titolo di colpa grave; in caso di colpa lieve, quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali; se il medico ha errato per colpa lieve nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alla specificità del caso concreto.
Alla luce di tale assetto normativo e giurisprudenziale – che si inserisce nell'ambito della successione delle leggi penali, al fine di individuare la legge incriminatrice più favorevole da applicare – la sentenza in commento evidenzia come sia necessario procedere anche all'accertamento, pretermesso dalla sentenza impugnata, sul grado della colpa del sanitario, al fine di valutare se, a prescindere dal profilo dell'imperizia e dall'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 590 sexies, si possa applicare la scriminante dell'aver agito con colpa lieve e attenendosi alle linee guida e buone pratiche, scriminante prevista dalla legge Balduzzi del 2012 e che rappresenta oggi, nella generalità dei casi, la norma più favorevole, anche rispetto alla previsione, ulteriormente sopravvenuta, contenuta nell'art. 590-sexies introdotto dalla successiva legge Gelli-Bianco.
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