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Un giudice che conobbi – di cui ancora sento la nostalgia – mi insegnò un importante principio.
Mai arrivare tardi all'udienza.
Una mattina parto dal Piemonte per tornar a casa. Ho udienza in un tribunale del ponente ligure dove vivo.
L'udienza è fissata alle ore 9.00 e seguenti.
L'ora canonica alla quale tutte le udienze vengono chiamate.
È conosciuta come l'ora di rito.
Può succedere che si passi alle 9.05 come alle 13.00.
Dipende dal Giudice, dalla mole di fascicoli previsti per quella mattina, dai detenuti che possono arrivare in aula e da tante altre variabili.
Parto presto ma non troppo.
Ho mandato un praticante in udienza a monito- rare la situazione. Se dovessi tardare so che c'è lui al quale ho pregato di far presente che sono in arrivo.
Lungo la strada comincia a piovere. Ma non pioggia normale.
Una specie di cascata stile diluvio di Noè.
Devo rallentare, anche se – ad essere sincero – continuo ad andare ad una velocità sostenuta. Vado in tromba, come dicono i velisti.
Nel frattempo il giudice – da par suo – macinai fascicoli della mattinata come un treno a vapore. Resta il mio e io non sono ancora arrivato.
Il mio praticante fa il suo dovere ma mi avverte che il giudice si è di molto spazientito.
Quando entro in aula al galoppo, il giudice è chiuso nella sua stanza e l'udienza è sospesa.
Busso alla porta e quando mi dice avanti gli domando scusa per il mio ritardo.
È incazzato nero.
Riprende l'udienza che va anche abbastanza bene. Alla fine, quando mi assegna il rinvio e tutto sommato si è tranquillizzato, ho la bella pensata di dirgli che l'udienza non aveva un orario preciso e quindi non mi volevo considerare in ritardo a tutti gli effetti.
Mi ricordo che si alzò in piedi – è un uomo molto alto – e mi disse di stare molto attento a un fatto.
"Avvocato, quando le udienze non portano un orario preciso, sono sempre tutte fissate alle ore 9.00 e seguenti. E lei, che si ritiene non in ritardo pur avendomi fatto aspettare quasi un'ora, dovrebbe saperlo da quando ha indossato la toga. Buongiorno".
Fine della lezione.
Quella ramanzina – sono ancora oggi molto grato al giudice di cui conservo una stima incondizionata
– mi ha insegnato ad essere maniacale nel rispetto dell'orario d'udienza.
Prima di tutto perché sapere che giudici e controparti ti stanno attendendo è frustrante e fa venire delle nevrosi da infarto, ve lo assicuro.
Inoltre, la puntualità è una cortesia da re e va osservata soprattutto nelle aule di giustizia.
Anche qui – però – bisogna non mandarle a dire a nessuno.
Accade spesso che gli avvocati attendano – fuori dalle aule – fino alla nausea.
Quel giudice di cui ho parlato prima è una rarità, tutto sommato.
La stragrande maggioranza dei suoi colleghi ci fa aspettare nei corridoi come dei bivaccati al Natale di sangue di Fiume.
Così, quasi sempre, mi sono ritrovato in un corridoio – insieme ad altri colleghi – ad aspettare un'udienza che era fissata all'ora di rito. Molti di loro arrivano tardi alla mattina (proprio così), molti altri si rivelano terribilmente lenti nella trattazione delle udienze che finiscono per accumularsi.
Molto spesso si invoca una regola che non vuole offendere nessuno ma che è quella del bigliettino distribuito da macellai e pizzicagnoli all'interno delle loro botteghe oppure al supermercato.
E che appare come una regola di civiltà al confronto dei corridoi ingolfati e pieni di gente dei no- stri palazzi di giustizia.
Un Tribunale efficiente come Torino – per esempio – si basa su questo principio. Ogni ora e frazione di ora viene scandita dall'assegnazione di una causa. Se non ci sei, affari tuoi. È una regola sabauda che dovrebbe tuttavia essere osservata ovunque.
Certo, il fatto che i giudici facciano aspettare gli avvocati non è per niente piacevole né tanto meno riguardoso, a volte. Bisogna pensare che quando l'attesa sia legata alla gestione di altri processi, sia però un nostro preciso dovere aspettare in buon ordine, senza tanti strepiti.
L'amministrazione della giustizia è una cosa seria, o almeno dovrebbe esserlo.
In ospedale, al Pronto Soccorso, a nessuno viene in mente di lamentarsi se aspetta più di altri.
Significa che un altro malato è sotto prima di noi.
Così deve essere in tribunale. Il mio maestro me lo diceva sempre.
Aspettare nei corridoi fa parte integrante del no- stro mestiere. E aiuta a vivere perché affina ed allena la pazienza. Che resta una delle virtù fondamentali dell'avvocato.
Ricordatevi che l'avvocato è come il pescatore. A volte prende il pesce, a volte prende un bagno e altre volte ancora ci rimette canna, lenza, mulinello e salario.
Dipende dal mare ma anche dalla sua pazienza. Santiago – il protagonista de L'uomo e il mare – sarebbe stato un eccellente avvocato.
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