Iscrizione ipotecaria sovradimensionata e annullamento del credito: al debitore compete risarcimento.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza 6533 del 2016, prendendo le opportune distanze rispetto ai più risalenti orientamenti e così ponendo in essere una importante inversione di rotta rispetto al passato.
In particolare, la sentenza della Suprema Corte in commento ha stabilito un principio innovativo per il nostro processo esecutivo, in base al quale nel caso in cui il creditore iscriva un’ipoteca su un immobile del debitore e, successivamente, il credito alla base di tale iscrizione venga annullato dal giudice in quanto ritenuto illegittimo, il proprietario del bene ha diritto a un risarcimento del danno nelle ipotesi in cui l’ipoteca superi di un terzo il valore dell´immobile stesso.
Secondo la Corte, nelle circostanze date viene a configurarsi un vero e proprio abuso del diritto, discendente dalla condotta posta in essere dal creditore che, invece di attenersi ad un normale grado di prudenza nell´aggressione del bene del debitore, ha puntato soltanto a garantire le proprie ragioni creditorie senza curarsi dei “danni” che ne potessero derivare al debitore.
Gli "Ermellini" si sono quindi trovati a reinterpretare il concetto di "illecito processuale" che si realizza in tutti quei casi in cui un soggetto abusi del proprio diritto di agire o resistere in giudizio, ossia nelle ipotesi di c.d. "lite temeraria".
Così, nel processo esecutivo, chi iscrive un’ipoteca per un valore sproporzionato determina un effetto indubbiamente negativo in capo al debitore. Tali conseguenze non possono ritenersi compatibili con i principi del giusto processo, che non può essere distinto da abusi relativi all´esercizio del diritto in forme eccedenti.