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Con la sentenza n. 1340 dello scorso 6 ottobre, il Tar Campania, sezione staccata di Salerno, ha sancito l'illegittimità di un'ordinanza con cui si era ordinata la demolizione di alcune strutture in legno realizzate su un'area demaniale marittima data in concessione.
Accogliendo la tesi del concessionario – che eccepiva l'illegittimità di quell'ordine di demolizione per non esser stato preceduto dalla relativa diffida – si è precisato che "in tema di opere assertivamente abusive, realizzate su suolo pubblico, l'ordine di ripristino dello stato dei luoghi deve essere preceduto da una "diffida non rinnovabile" nei confronti del responsabile dell'abuso".
Nel caso sottoposto all'attenzione del Tar, un Comune emanava un provvedimento con cui ordinava la rimozione di alcune strutture in legno realizzate su un'area demaniale marittima data in concessione ad una ditta titolare di uno stabilimento balneare.
In particolare, le strutture in legno erano state realizzate in assenza delle prescritte autorizzazioni, sicché il Comune aveva ordinato all'amministratore unico della società titolare, ai sensi dell'art. 35 del d. P. R. n. 380 del 2001, di eliminare a totale sua cura, spese e rischio, i vizi riscontrati e le difformità accertate entro il termine di 10 giorni dalla notifica, con l'avvertenza che, decorso inutilmente il termine assegnato senza che si fosse ottemperato al summenzionato ordine, vi avrebbe provveduto il Comune, ai sensi dell'art. 35 comma 2 del D.P.R. 380/2001.
Ricorrendo al Tar al fine di avversare siffatto provvedimento e chiederne l'annullamento, il concessionario deduceva la violazione dell'art. 35 del D.P.R. 380/2001.
A tal fine, evidenziava come il Comune avesse seguito un percorso procedimentale in termini esattamente contrari a quelli tratteggiati dalla norma, posto che – contestata la presunta carenza dei titoli abilitativi riguardanti lo stabilimento balneare – in luogo di diffidare, prima, e preannunciare, poi, l'eventuale e futura adozione di un ordine demolitorio-ripristinatorio, nel caso in cui non fossero stati eliminati i "vizi riscontrati" e le "difformità accertate", ne aveva intimato la rimozione entro l'esiguo termine di 10 giorni.
Il Tar condivide la posizione del ricorrente.
Il collegio ricorda che, ai sensi dell'articolo 35 del d.P.R. n. 380/2001, qualora sia accertata la realizzazione, da parte di soggetti diversi dalle amministrazioni statali, di interventi in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o il responsabile dell'ufficio, previa diffida non rinnovabile, ordina al responsabile dell'abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, dandone comunicazione all'ente proprietario del suolo.
Ne deriva che, in tema di opere assertivamente abusive, realizzate su suolo pubblico, l'ordine di ripristino dello stato dei luoghi deve essere preceduto da una "diffida non rinnovabile" nei confronti del responsabile dell'abuso.
Sul punto, infatti, la giurisprudenza è granitica nel ritenere che, in caso di abuso realizzato su suoli appartenenti a Enti pubblici, l'ordinanza-ingiunzione deve essere preceduta, a mente dell'art. 35 D.P.R. n. 380/2001 da una diffida non rinnovabile; l'omissione dell'atto endoprocedimentale rende illegittimo l'atto conclusivo del procedimento.
Nel caso di specie, invece, il Comune, piuttosto che diffidare, prima, e preannunciare, poi, l'eventuale e futura adozione di un ordine demolitorio-ripristinatorio, nel caso in cui non fossero stati eliminati i "vizi riscontrati" e le "difformità accertate", ne aveva intimato la rimozione entro l'esiguo termine di 10 giorni, con conseguente illegittimità dell'ordinanza di demolizione.
Alla luce di tanto, il Tar accoglie il ricorso, annulla, per l'effetto, il provvedimento impugnato e condanna il Comune al pagamento, in favore della società ricorrente, delle spese e compensi di lite, oltre che alla restituzione, in favore della stessa ricorrente, del contributo unificato versato.
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