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Esco dal Tribunale e vado a mangiare. Mi sono ritrovato con una fame feroce a premermi sullo stomaco. Quando la morsa della tensione si allenta, gli istinti primitivi sopravvengono con inaudita virulenza. Lascio la Salmaso dalla sua auto e me ne vado da Arnaldo e Bruna. Hanno un piccolo, grazioso ristorante in Piazza dei Dolori, proprio a ridosso della chiesa matrice della nostra città. La basilica forse più antica, insieme alla Madonna della Costa. E' in pietre chiare, che si scaldano al sole. Qui una sera ero venuto con Agata. Anche se mi addolora tornarci da solo, non fa nulla. Mi serve per disintossicarmi di tutta l'ansia immagazzinata. Arnaldo lavorava nel campo della hotellerie. Quando ha conosciuto la moglie, una splendida libanese che conosce tre lingue e con il pallino degli affari, hanno deciso di aprire questo angolo di sole in cui cucinano all'italiana e alla libanese. Le pastasciutte sono più gustose, il pesce arriva dal porto e il vino è sempre in ghiaccio. Le bruschette preparate da Bruna con le spezie di Beirut sanno di quella terra in cui il sole non tramonta mai. Usa soltanto il pomodoro fresco ed un pimento unico, di cui non ha mai rivelato il segreto a nessuno. So soltanto che sono uniche. Mangiare da solo non è il massimo ma a volte anche dentro di noi val bene cercare un poco di quiete. Sono un filosofo ma vado alla deriva. Proprio adesso che devo compiere l'ultimo, decisivo balzo. Con Agata avevo impostato la barra del timone in un certo modo. Stai da solo una vita e non sai confessarti che in fondo la solitudine ti pesa. Da ragazzo ne avevo un sacro terrore. Ho molto spesso incontrato e voluto bene a persone sbagliate per conviverci. Poi avevo superato quel senso di smarrimento che mi dava non avere una persona fissa, soprattutto dopo il matrimonio con Giulia. Mi sentivo capace di veleggiare in serenità, soltanto con il bagaglio personale che alla fine dei giochi ci si ritrova a sgranare tra le mani. Nasciamo nudi e ci avviamo sempre glabri alla fine. In mezzo, in fondo, non dovremmo avere bisogno di molto, anche se il superfluo mi piace. Comunque. Agata mi aveva fatto tornare la voglia di non stare più solo. Arnaldo e Bruna mi accolgono come un amico, al solito. Non mi domandano nulla e cercano in ogni modo di farmi sentire a mio agio. Mangio tre bruschette piccanti, un piatto di pasta alle vongole che nuotano ancora in mare, e finisco il tutto con lamponi alla crema. Caffè ed un bicchiere di passito, per gradire. Venti euro. Mi alzo, li abbraccio, guardo ancora una volta quella parete di pietre chiare, arrossate dal sole che comincia a scendere verso la via, e me ne vado. Di questo punto della città mi piace il via vai delle persone. Di ogni etnia. Indiani, senegalesi, cinesi, francesi a tinchitè, e zingari. Ce n'è uno che viene sempre a suonare la fisarmonica e poi pretende un obolo, mica tanto spontaneo. Sta lì davanti a te, con un cappello lercio in mano,e ti chiede l'elemosina come se fosse un diritto per lui e un dovere per te. Non faccio in tempo a mandarlo al diavolo chè Bruna lo caccia senza pietà.
- Lasciami suonare, le dice il lercio.
- Non qui, vai via, tu non paghi le tasse.
Non c'è pietà per chi si fa pecora. Chi tale si fa, il lupo lo mangia. Quello però non è una pecora e Bruna non è stupida.
Passo davanti all'edificio che sta in faccia alla chiesa. Sulla trabeazione superiore c'è una scritta incisa nella pietra viva, in latino:Sine labe originali Conceptae. A colei che è stata concepita senza scivolare nel peccato originale. Madonna mia, Maria Misericordiosa, prega per me. La solitudine non è mai stata così pesante da portare nella mia vita come in questi momenti di apparente vittoria. Non penso neanche a quello che potrei passare se perdessi il processo. Le cose si stanno mettendo bene ma l'ultima incognita potrebbe sovvertire tutti i giochi in un colpo solo. A dirla tutta, non penso neanche a cosa farei se andasse bene. Con chi festeggerò una vittoria così quando il mio miele è finito, divorato dal Fato o da un'opposizione dei pianeti che sembra non tramontare mai sul mio territorio ? Sono a pezzi e penso che senza una donna non si possa mai stare. Era il titolo di un libro scritto da Marisa Fenoglio, la sorella di Beppe.
Mai titolo di un romanzo mi è parso più vero.
Questa volta la notte è stata faticosa. Ho provato a leggere,a stare sul terrazzo per prendere aria, ho innaffiato le piante. Mi sono addormentato tardi, tardissimo. L'alba imbiancava il cielo e io giravo ancora in vestaglia sotto le stelle, a fissare i tetti. La città di notte sembra immobile ma lavora in silenzio. I netturbini, la gente che finisce di rassettare nei ristoranti, quelli che consegnano i giornali, i fornai bianchi di farina sui motorini, è tutto un movimento febbrile che si sviluppa in sordina. Penso che da quando Agata è uscita dalla mia vita, i messaggi anonimi hanno cessato all'improvviso. Si vede che erano veri, penso. E' stato il primo pensiero della mia giornata oggi. Mi ha investito la testa appena ho aperto gli occhi. E' la prima volta che affronto il fatto con onestà interiore. Agata mi ha imbrogliato. Perchè ? Perchè ho dovuto sopportare una fregatura come questa? Non riesco a venirne a capo. Mi è venuta a cercare lei, in fondo, e poi mi ha tradito da canaglia.Faccio una rapida colazione ed entro in doccia. E' una mattina ingrata. Quando non dormo, il mio ritmo circadiano ne risente in modo esponenziale. Ho appuntamento con la Salmaso in studio per mettere a punto l'esame di domani. La mamma di Tomaso sarà la nostra carta vincente, o il nostro cimitero. Esco di corsa. Incontro Ottavio sulle scale. E' raggiante. Mi mostra subito una carta alimentare bella gonfia. La apre e dentro luccica un'orata da almeno due chili. Magnifica. E' ancora viva. Mi dice che l'hanno appena pescata e che la troverò questa sera quando torno. Ha già telefonato a Giulia in modo tale da metterla in forno mezz'ora prima del mio arrivo. La legione romana sta facendo testuggine per proteggere il suo tribuno. Ottavio e Giulia mi riportano ancora una volta indietro, ai miei penati, a mio padre ed al mare che abbiamo condiviso insieme. Se penso al motivo per cui sia andata male con Giulia, forse non riesco a trovarlo. La mia irrequietezza sentimentale è stata decisiva. A lei, povera figlia – come la chiamava mio papà – non posso rimproverare niente. Agata è stato il mio castigo. Per una volta nella mia esistenza, sono stato castigato. Mio padre usava sempre un'espressione tipica delle nostre parti:ti ha dato il blu, figliolo. Si, papà, Agata mi ha dato il blu. Ma quell'orata, così raggiante di scaglie argenteo mare, mi ha ridato la forza che oggi mi mancava. E' la casa,la nostra forza. Il mio amore per Giulia non sarà un temporale come diceva Jovanotti, ma per oggi mi fa stare bene. E' un tetto sopra la mia testa. Un'occupazione contro la solitudine. Un'occupazione è un vocabolo scomodo ed ingiusto ma è capace di tenere lontani i fantasmi. Forse nella vita gli amori rovinosi, alla Van Gogh, vanno tenuti a bada. Possono dilavarti tutto, anche l'anima. I sentimenti più radicali, quelli che fanno meno baccano ma stanno confitti in profondità, dove non si sente né caldo né freddo, sono gli unici capaci di tenerci diritti in superficie. Non ho bisogno di salici piangenti, voglio una magnolia dentro di me.
Arrivo in ufficio. Trovo sulla scrivania una ricerca fatta da Giovanni. Dieci pagine scritte a mano, con una grafia fitta ma chiara. Non si è risparmiato nelle note, nè tantomeno nei richiami della dottrina. E' una ricerca sulla sindrome da alienazione parentale che gli ho incaricato di stendere subito dopo la fine dell'ultima udienza. Quando Tomaso ha finito di parlare facendo esplodere l'aula, mi è venuto in mente che questo bambino ha una madre problematica e che la separazione dei suoi genitori era rimasta un campo inesplorato dentro il processo. Un'incognita che nessuno di noi, e soprattutto io, ha approfondito come si doveva. Possibile, possibile che non mi sia venuta in mente ? Se Tomaso non avesse detto nulla, non avrei considerato un aspetto così rilevante ? Sono un avvocato incompleto. Il mio istinto da investigatore processuale dove è andato a finire ? Non si possono difendere le persone con qualcosa in testa che non siano le udienze da preparare. Un processo è un filo di Arianna. Se non lo srotoli tutto, se anche un segmento singolo si perde, tutta la concentrazione va via, evapora. Devo tenere duro. Stringere i denti, le chiappe, e mantenere la mia mente concentrata in un'unica direzione. Mi leggo la ricerca di Giovanni come se bevessi acqua in un'oasi. Questo ragazzo ha talento. Scrive da Dio. Mi ritrovo alla fine delle dieci pagine come se avessi bevuto un'orzata fresca. Questo pagine sono oro. Forse ho in mano la chiave di tutta la storia. Giovanni, Giovanni ! Urlo con in mano i fogli sottolineati furiosamente e scritti a mano. Corro di là da lui e lo trovo con una pila enorme di sentenze sulla sua scrivania.
- Ti posso chiedere una cosa ? gli urlo.
- Certo, capo.
- Non chiamarmi capo,l'ultima che l'ha fatto è finita male, ruggisco.
- Ma perchè scrivi ancora a mano Giovà ?
- Mi fa pensare meglio. Mi sembra di fare qualcosa di più concreto, come costruire un pezzo di casa. Il computer è più dispersivo, le idee volano via, non riesco a tenerle ferme quando arrivano. Con la penna in mano è meglio, insomma, non so se rendo l'idea. E poi devo esercitarmi per l'esame, capo.
- Senti un po', ma cosa stai leggendo ultimamente ? Mi piace avere un praticante come te.
- I pilastri della terra, di Ken Follett.
Resto basito. Quel romanzo è stato la mia dieta intellettuale quando preparavo lo scritto per l'esame da procuratore legale. Leggevo sentenze e Ken Follett. Ho sempre pensato che un'accoppiata del genere fosse vincente. Ora me la ritrovo qui, dentro il mio studio, sotto forma di un praticante che mi ricorda me quando ero giovane ed avevo soltanto la letteratura in testa. Bravo, bravissimo Giovanni, vai avanti così. Suonano al campanello. E' la Salmaso.
Ora possiamo lavorare.
E'un fiorista. Un ragazzino con una peonia in mano. Bianca.
- E' lei l'avv. Mario Squinzati ?
- Si, dico io.
- Questi sono per lei.
E se ne va dopo avermi porto il fiore. Guardo subito se per caso ci sia un bigliettino ma non c'è nulla. E' un bouquet anonimo. Un mazzo di peonie candide come la neve. Giovanni Pascoli avrebbe detto nivee. Boh. Adesso cominciano pure ad arrivarmi fiori dagli sconosciuti. Una cosa del genere mi sembra tipo un avviso della mafia. Una specie di messaggio in codice. Mah. Suonano di nuovo. Apro, ma stavolta è la Salmaso davvero. Sono con le peonie in mano.
- Bei fiori, complimenti Mario. Con i miei omaggi.
- Ma... Ma è stata lei ?
- Si.
Determinata e concisa come al solito.
- Credo tu abbia bisogno di un tocco di leggerezza in questo momento. E di delicatezza. Soprattutto di stare su. Sai, Mario, forse non lo sai, ma i torrenti di primavera a volte seguono percorsi strani prima di arrivare in mare.
Mi fa un sorriso strano, enigmatico. Chi ci capisce, è bravo. La ringrazio. Sono stupito dalla gentilezza di questa donna. Che – a volte – lascia esalare dalla propria corazza un filo di fumo bianco. Le porgo la ricerca di Giovanni. La legge avidamente. Sfoglia le pagine in velocità. Si beve tutto, note incluse.
- Mia cognata, dopo la morte di mio fratello, aveva deciso di trasferirsi in un'altra città. Riuscii a bloccare il suo trasferimento sul lavoro. Non ti dico come. L'ho fatto per Tomaso. Avevo le prove che era una squilibrata. Le ho usate.
- Il punto è che tutta la giurisprudenza, in materia di alienazione parentale, parla di coniugi. Non c'è nulla in letteratura che faccia riferimento ad una situazione come la nostra. Come faccio a dimostrare che una sindrome da alienazione parentale si è creata tra due cognate ? Lei non ha mai avuto un affidamento di Tomaso. Lo stesso termine fa riferimento ai parenti nell'accezione latina del termine che indica i genitori e basta.
- Si, ma mia cognata ha trascorso numerosi periodi lontana da casa già quando era sposata. In quei giorni sono sempre stata io ad accudire Tomaso.
- Poi abbiamo il problema dei suoi trascorsi "psichiatrici", mi scusi dottoressa, ma li tireranno fuori. Tardito credo che lo utilizzerà come ultimo asso da buttare sul tavolo.
- Mario, ho fatto sempre il giudice a dispetto delle mie questioni personali. E l'ho fatto sempre in condizioni di estremo equilibrio, almeno credo. I miei problemi "psichiatrici", come li chiami tu, erano il frutto di una depressione importante, se ci tieni a saperlo.
- Non volevo offenderla.
- Lo so, sto soltanto cercando di aiutarti per l'udienza. Dopo la morte di mio fratello e il fallimento del mio matrimonio, ho avuto un periodo di crisi profonda. Pensavo di non essere più in grado di uscire da quel maledetto tunnel in cui la mia vita si era infilata. Tomaso e la barca a vela mi hanno salvato. E' il mio bambino d'oro. Lui e il mare mi hanno fatto tornare la voglia di vivere. Mia cognata, anzi la mia ex cognata, è una donna molto pericolosa e vendicativa, Mario, non dimenticarlo mai.
- Non lo farò.
Resta il problema, però. Come è possibile dimostrare un'alienazione parentale tra cognate ? E' una specie di novum assoluto in letteratura. La mia cliente mi ha fornito qualche aiuto che tuttavia non mi sento di considerare completamente risolutivo. Dovrò fare un lavoro di fino nel momento in cui ascolteremo la cognata, che oltretutto giocherà in difesa tutto il tempo. Sarà un teste ostile perchè rischia una denuncia per calunnia grossa come un armadio quattro stagioni. Che bella udienza mi si prospetta. Pensavo di essere arrivato alla vittoria, anzi mi ci sentivo ad un soffio, ed ora sono qui, ad arrovellarmi su mille dubbi che potrebbe dipanare soltanto un enigmista abile o uno scacchista sovietico. Un processo è come un ghiacciaio. Non finisce mai di incantarti e soprattutto non dorme mai. Lavora in continuazione. Un mio amico, esperto di montagna,l'ha definito la pietra che si muove in modo perenne. Qualcosa che non si ferma.
Come il tempo.
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