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SC: "Stress forzato del lavoratore dipendente deve essere risarcito". Recentissima sentenza chiarisce portata del danno da straining

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Con la recente pronuncia n. 7844 depositata lo scorso 29 marzo, la Cassazione ribadisce la legittimità delle richieste risarcitorie avanzate dai lavoratori per il cosiddetto danno da "straining", ovvero quella forma attenuata di mobbing che si estrinseca nello stress forzato inflitto al lavoratore dal superiore gerarchico.

I giudici della sezione lavoro ribadiscono che, ai sensi dell´art. 2087 c.c. – norma di chiusura del sistema antinfortunistico e suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro – il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l´adozione di condizioni lavorative ´stressogene´ (cd. ´straining´).
Nel caso sottoposto all´attenzione della Suprema Corte, era emerso che il lavoratore, pur avendo diritto all´inquadramento nella categoria dirigenziale, era stato allontanato dalla direzione generale e deriso con l´invio di lettere di scherno diffuse nella banca dove lo stesso prestava la sua attività: condotte, queste, che – anche se limitate nel numero e in parte distanziate nel tempo e, in quanto tali, prive del carattere di continuità tipico del mobbing – erano comunque di tale entità da provocare nel dipendente una modificazione in negativo, costante e permanente, della situazione lavorativa, idonea a pregiudicare il diritto, costituzionalmente garantito, alla salute.
In un panorama in cui cresce l´interesse per la tutela della salute psicofisica del lavoratore, diventa necessario focalizzare l´attenzione sulle problematiche emergenti nei contesti lavorativi: proprio in tale ottica, la sentenza in commento riconosce piena cittadinanza a quelle forme di stress forzato, meno intense rispetto al mobbing, ma comunque di entità tale da poter minare l´integrità psico-fisica del lavoratore.
Sulla scorta di tale scia, si facilita l´onere probatorio del lavoratore che, per ottenere il risarcimento dei danni alla salute, non deve necessariamente provare l´unico intento persecutorio che ha determinato la serie continua di atti vessatori, né deve limitarsi a chiedere il risarcimento del danno per le sole e singole condotte illecite.
Dovendosi escludere che sussista un vizio di ultrapetizione qualora, pur accogliendo il ricorso, il giudice muti l´originaria prospettazione della domanda giudiziale da danno da mobbing a danno da straining, risulta demandato al giudice di merito valutare se, in assenza dell´intento persecutorio proprio del mobbing, dagli elementi dedotti - per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale ed altre circostanze del caso concreto - possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell´esistenza di un più tenue danno (Cassazione civile, sez. lav., 19/02/2016, n. 3291).
Risultano, quindi, ben delineate le differenze tra il mobbing e lo straining.
Con il termine mobbing si indicano gli atti e comportamenti discriminatori e vessatori protratti nel tempo posti in essere nei confronti dei lavoratori dipendenti pubblici o privati da parte dei datori di lavoro o soggetti posti in essere in posizione sovraordinata (mobbing verticale), ovvero da altri colleghi (mobbing orizzontale), o anche da parte di sottoposti nei confronti di un superiore (mobbing ascendente) e che si caratterizzano come una vera e propria forma di persecuzione psicologica e di violenza morale: vi rientrano situazioni, finalizzate alla persecuzione e all´isolamento professionale della vittima, quali l´emarginazione, il demansionamento, l´inattività forzata, la denigrazione, la dequalificazione, la negazione di ferie e permessi, la privazione dei collaboratori, l´uso strumentale dei poteri disciplinari.
Caratteristica fondamentale del mobbing è, quindi, la sistematica ripetizione nel tempo di una pluralità di comportamenti che, anche se legittimi considerati nella loro individualità, complessivamente sono mossi dal medesimo intento persecutorio diretto a vessare e mortificare il lavoratore: in presenza di siffatti requisiti, il risarcimento è riconosciuto, sempre se il lavoratore dimostri di aver subito, a causa di siffatta situazione, un danno alla integrità psicofisica.
La condotta di straining consiste in una situazione lavorativa conflittuale di stress forzato, provocato intenzionalmente o colposamente ai danni della vittima, con condotte di ostilità, discriminazione o disinteresse e incuria per le condizioni lavorative; tali condotte – a differenza del mobbing – non sono continue, bensì sporadiche, limitate nel numero e/o distanziate nel tempo, ben potendo consistere anche in un´unica ed isolata azione che produce effetti duraturi nel tempo, tali per cui la vittima percepisca di essere in una continua posizione di inferiorità rispetto ai suoi aggressori (come nel caso di un trasferimento, l´assegnazione di mansioni non compatibili con lo stato di salute del lavoratore, l´isolamento, la privazione degli strumenti di lavoro, la riduzione in una condizione umiliante di totale inoperosità).
Anche lo straining, come il mobbing, legittima la richiesta di risarcimento dei danni patiti se le condotte vessatorie abbiano cagionato un danno all´integrità psico-fisica del lavoratore, essendo indiscusso l´obbligo del datore di lavoro sia di astenersi dal compiere ogni condotta che leda il diritto alla salute e alla dignità umana del lavoratore, sia di impedire che nell´ambiente di lavoro si possano verificare situazioni idonee a mettere in pericolo tali diritti della persona.
Nella sentenza in commento, i Giudici – qualificando le azioni vessatorie denunciate come straining – non solo hanno confermato il diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale, inteso come lesione del diritto al normale svolgimento della vita lavorativa e alla libera e piena esplicazione della propria personalità sul luogo di lavoro, ma hanno anche riconosciuto il danno alla professionalità da perdita di chances, essendo stato il lavoratore estromesso da un settore ove stava incrementando progressivamente le proprie competenze tecniche e professionali, determinando così un impoverimento del proprio bagaglio professionale.
Rosalia Ruggieri, autrice di questo articolo, si è laureata in Giurisprudenza presso l´Università degli Studi di Bari, sede di Taranto, nell´anno 2010 e ha conseguito l´abilitazione alla professione forense nell´anno 2013. E´ iscritta all´Ordine degli Avvocati di Bari.
Ha già pubblicato su questo sito, i seguenti articoli: 1) Avvocati: va sanzionato chi aziona più procedure esecutive contro lo stesso debitore, 29 novembre 2017,
3) Infortuni sul lavoro, quando sono indennizzabili: Cassazione ricostruisce sistema, 21 febbraio 2018
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