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Come muovere i primi passi in uno studio legale senza diventare schiavi (da "Volevo fare l'avvocato)

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Questo è un argomento che bisognerebbe trattare alla fine del libro.
Nel momento – cioè – in cui si è raggiunto un grado accettabile di formazione professionale.
Non si può pensare di potere insegnare qualcosa ad un praticante se prima non ci sentiamo sicuri noi per primi.
Ho deciso invece di trattarlo quasi subito per l'abitudine ormai molto diffusa di farsi seguire da sciami di giovani smarriti per far vedere agli altri che il nostro studio è un vivaio di lavoro.
Fateci caso. Molti giovani colleghi passano nei corridoi seguiti da una teoria di ragazzi o ragazze.
Sembrano primari in corsia ospedaliera.
Quando entrano in udienza fanno lo stesso rumore di un esercito. Non c'è niente che non vada in questo.
L'ho fatto anch'io verso i trent'anni ed era una cosa che personalmente mi inorgogliva molto.
Poi però ho dovuto fare i conti con questa progenie di avvocati in erba. Il conto che ho pagato si è rivelato molto salato e da allora mi tengo stretto il ragazzo che ho trovato sulla mia strada. Non ho più voluto nessun altro.
Spiego subito il motivo.
Avere tre o quattro praticanti significa trovare prima di tutto un compito per ciascuno.
In studio, è vero, c'è sempre da fare e un atto si trova sempre per tutti. Mettete in conto, però, che bisognerà passare parecchio tempo a correggere gli atti scritti dai collaboratori e a spiegare perché non vanno bene come sono stati redatti. Soltanto in questo modo ha senso pensare di ave- re un praticante in studio.
L'approccio ormai consolidato è invece molto diverso. I praticanti vengono arruolati in massa perché sostituiscono le segretarie che – come noto – vanno retribuite.
Loro no.
Oggi è diventato obbligatorio pagarli ma sarà sempre una somma infinitamente lontana dallo stipendio che una segretaria rispettabile ci chiederà, contributi compresi.
Il loro numero si spiega per questo motivo.
Se uno va via, ne arriva subito un altro felice di prenderne il posto.
Il risultato è che loro non imparano un'acca ma noi non paghiamo un vero stipendio.
Il nostro lavoro ne gioverà in termini di risparmio materiale ma gli atti verranno violentati in modo sistemico.
Vi suggerisco comunque cosa non fare con un praticante. Non adibitelo a segretaria. O meglio. Fatelo all'inizio perché la sua gavetta deve partire da zero.
Il mio capo diceva sempre che un buon avvocato deve sapere di tutto, da come si compila una raccomandata a un ricorso per cassazione. Fategli quindi scontare un periodo temporaneo di mansioni "ancillari" ma non fatecelo morire. Se è un giovane sveglio, dopo circa un mese potrebbe già prendere il volo.
Ho sempre detestato vedere i praticanti ridotti ad automi fotocopianti oppure a pellegrini in cerca d'autore davanti al vetro forato degli ufficiali giudiziari. Dovranno fare qualche migliaio di fotocopie, d'accordo, ma fate in modo che sappiano cosa stanno fotocopiando, almeno.
Lo faranno più volentieri, se non altro, perché capiscono quantomeno costa stanno facendo.Dategli da scrivere.Non riduceteli a semplici risponditori telefonici. Per quello ci sono le segreterie telefoniche o le email.
Fateli sgobbare. Non ho mai capito perché tanti avvocati nutrano una forma di morbosa gelosia per i loro atti e non permettano ai praticanti di maneggiarli, di tuffarcisi dentro.
Se non vogliono condividere i loro fascicoli con i giovani a cui hanno deciso di insegnare qualcosa, è meglio che restino da soli. Fateli iniziare con delle ricerche. Si tratta di un campo di prova formativo.
Sembra un lavoro soltanto compilativo ma è già lì, in quella fase, che potete vedere se un ragazzo nasconda dentro di sé un certo fuoco, o quella passione che vi scotta le dita quando leggete una buona sentenza.
Non dico che sia un metodo infallibile, o il migliore in assoluto. So però che per esempio mi divertivo a scrivere una ricerca per chi me la chiedeva.
Cercavo di consegnargliela subito ed in modo da eliminare preventivamente ogni dubbio.
Anche in questo venni stimolato da un libro, Il momento di uccidere di John Grisham, la storia di un omicidio commesso da un nero a cui avevano stuprato la figlia e del suo avvocato bianco. In quelle pagine si trova il modo giusto di preparare un processo.

 Capii – avevo 25 anni – che una causa si vince all'inizio, quando si parte con una ricerca meticolosa. Fare una ricerca è faticoso.
Ogni sentenza va letta per intero, non ci si ferma mai davanti alla massima e i testi di dottrina vanno spremuti senza nessuna paura e senza risparmio.
Le ricerche sono un tavolo su cui si suda. Guardate il film Codice d'onore con Tom Cruise e un Jack Nicholson straordinario anche quando perde. Vi ricordate delle nottate trascorse dal nostro avvocato a studiare una linea di difesa con i suoi collaboratori?
Una ricerca ben fatta toglie un sacco di tempo prezioso ma può far capire già con grande chiarezza come muoversi esattamente.
Un buon atto comincia da una ricerca dove non ci si risparmia.
Scarrellare le banche dati – in cui sono contenute le sentenze – non è un'attività da prendere sottogamba. Insegna a leggerle ed è straordinariamente formativa per una mente giovane.
Non dimenticate che i consiglieri di Cassazione si formano dentro il Massimario, ossia all'interno di quella officina dove bisogna padroneggiare il diritto come artisti perché ti richiedono di sintetizzare una sentenza per esteso in uno scrigno piccolo così, la massima appunto.
Non mi posso dimenticare una delle prime lezioni di diritto privato – al primo anno di giurisprudenza – dove ci veniva insegnato come leggere una sentenza. La prima volta che ne vidi una avevo diciannove anni.
Mi sentii letteralmente perduto, solo davanti ad un mondo sconosciuto, fatto di parole incomprensibili.
Più che un avvocato pensai mi ci volesse un mistagogo per avventurarmi in mezzo a quella foresta di vocaboli tecnici, respingenti tutto ciò che fino a quel momento era stato il mio mondo quotidiano.
Altro che sufficienza quindi, quando si parla di ricerche.
Sono il sangue ed i muscoli del nostro lavoro. C'è ricerca e ricerca, però.
Quella migliore di tutte contiene qualcosa di personale,che vibra. Lo senti subito dalle prime righe, come un buon romanzo. Non vanno bene quelle tipo collage, fatte soltanto di sentenze messe in fila come soldatini, senza un filo logico e senza un chè di soggettivo a tenerle cucite insieme.
La ricerca che funziona propone una soluzione perché dalla lettura nutriente della giurisprudenza e della dottrina arriva sempre – anche a livello inconscio – la soluzione più semplice.

 Se il vostro praticante ve la proporrà,vorrà dire che ha sentito l'esigenza di risolvere il problema che gli avevate sottoposto.
Quella è la spia di un buon avvocato.
Dire la sua, giusta o sbagliata, ma servita su di un piatto ragionato, sostenibile.
Se si limita a spiattellarvi invece le sentenze nude, ditegli di andare da qualche altra parte. Evitate di perdere tempo in due.
Non prendete praticanti se non avete una sistemazione decorosa già pronta per loro.
Ai miei tempi l'attrattiva maggiore per un praticante era una stanza a disposizione.
Possedere uno spazio soltanto per sé equivaleva a disporre di un riconoscimento ben definito all'interno dello studio dove si andava a lavorare.
È una questione sottile.
Se ad un tizio,appena uscito dall'università, garantisci una stanza anche di cinque metri quadrati soltanto per lui, gli ritagli intorno una specie di isola felice con un significato altissimo: credo in te e nel tuo lavoro, riconosco che non sei più un semplice studente ma già un lavoratore.
È questo che fa scattare la molla dell'impegno come la lama di un coltello a serramanico, il riconoscimento di un ruolo nuovo. C'è qualcosa in più in tutto questo. Avere a disposizione una porta da chiudere dividendosi dagli altri componenti dello studio ti garantisce una certa privacy e la possibilità di lavorare senza disturbo.
Ve lo dico perché certi praticanti vengono posteggiati nei corridoi degli uffici oppure a ridosso della stanza del loro dominus: sembrano uscieri sapienti ma sempre uscieri. Un praticante dovrebbe avere anche un computer su cui poter lavorare.
Per lui scrivere è come respirare.
Deve leggere e scrivere, tutti i giorni, come l'avvocato. Quando iniziai la pratica, non era per nulla scontato disporre di un computer. Gli studi ne avevano a disposizione uno o due, magari.
Gli atti si scrivevano a mano e le segretarie li battevano poi al computer.
Oggi il computer è diventato una prassi scontata.
La penna per noi era una compagna necessaria come le riviste cartacee.
Scrivevamo gli atti in mezzo alle carte. Tutto sommato non nutro una grande nostalgia per quel metodo e quel modo di costruire un atto giudiziario.
Oggi siamo molto più tecnologici ed attrezzati anche se – temo – ci siamo lasciati alle spalle una impostazione più sofferta degli atti.
Il fatto di non avere ancora internet ci imponeva di cercare le massime sulle riviste oppure nelle banche dati, quindi si andava più in profondità e soltanto nelle sedi canoniche.
Oggi le ricerche si cominciano digitando su internet una stringa di ricerca e poi – soltanto dopo - andiamo a vedere i testi che quella ricerca ci ha segnalato.
Stiamo andando incontro allo stesso processo di sclerosi dei neuroni che la calcolatrice ci ha procurato quando abbiamo smesso di fare i calcoli a mente. Siamo tutti più comodi ma, soprattutto, abbiamo perso la penna per strada. Quel passaggio in più, consistente nello scrivere a penna la bozza di un atto, funzionava come mezzo per ficcarci in testa le nozioni di diritto da sviluppare sulla pagina.
Anche la fatica di scrivere a mano era importante e oggi – secondo me – i praticanti si sono persi anche quello. Comunque. Se hanno un computer soltanto per loro – il chè continua ad essere un dono non da poco – dovranno usarlo fino a farlo sfrigolare.
Quando gli avete messo a disposizione una stanza loro e possono scrivere, esigete almeno un atto al giorno o giù di lì.
Il fatto che possano occuparsi di una cosa alla volta è già un lusso mentale. Cosa credete, di potervi occupare e concentrare soltanto su di una pratica al giorno, quando diventerete avvocati?
Uno studio legale è come una cucina all'ora di punta: bisogna scrivere di tutto e secondo le richieste che il maledetto telefono e le email vi vomitano addosso in continuazione, senza parlare di quei fogli avvelenati che il fax sputa naturalmente quando sta- te per chiudere.
Loro, invece, i praticanti dico, visto che sono agli inizi e la trincea non sanno quanto sia profonda, possono vivere ancora con un atto alla volta. Prendete un praticante per volta, se potete.
Se ne avete tre o quattro alla volta, non riuscirete a seguirne bene neanche uno.
Tra di loro molto spesso si innesca poi una sorda competizione interna.
Il chè non aiuta il vostro studio che ha bisogno di macinare chilometri e pratiche con costanza, come un buon diesel.
Con tanti ragazzi in circolazione dentro le vo- stre stanze, inoltre, può capitare che alla mattina in udienza si verifichino degli spiacevoli episodi di duplicazione delle richieste.
Accade molto spesso – cioè – che i praticanti di un unico studio, all'insaputa l'uno dell'altro, vadano in pellegrinaggio nelle cancellerie per chiedere le stesse cose.
Ognuno di loro vuol far vedere al proprio domi- nus di essere in gamba e quindi centuplica i propri sforzi. Il problema di cotanto zelo è lo scotto che devono pagare cancellieri ed impiegati i quali – se in una mattina passano tre persone a chiedergli la stessa cosa – alla fine potrebbero cominciare a mandarli affanculo.
Uno alla volta è meglio, credetemi sulla parola.
Vi suggerisco ancora come valutare il praticante alle prime viste,ammesso che sia possibile.
Per alcuni aspetti lo è, nel senso che alcuni segna- li – almeno inizialmente – possono fornirvi preziosi consigli tattici.
Appena arriva nel vostro studio, lasciatelo qualche giorno in sospensione dentro una stanza.
A sobbollire come un pentola di fagioli borlotti sul fuoco:deve sentirsi un prigioniero in lotta con i suoi pensieri.
Senza fare un tubo.
Dategli soltanto qualcosa da leggere chiedendogli di studiarla ma come se fosse assolutamente fungibile: della serie fallo, ma se non lo fai, lo do a qualcun altro.
Fatelo stare insieme a quei fogli inutili per circa una settimana. Scrutate le sue reazioni.
I suoi moti d'animo.
Il suo tipo di saluto quando entrate. Se è una persona che fa per voi, sopporterà chiuso in quella stanza tutto il tempo che stimate sufficiente.
Se dopo tre giorni verrà a bussare e si lamenterà, mandatelo subito via.
Non fa per voi. Perchè non ha pazienza.
Che – come sapete – è la virtù cardinale e teologa- le necessaria e massima per un avvocato.
Dopo avergli fatto superare questa prova interna, potete allora farlo partire. Il ragazzo è giovane. Bene. Fatelo galoppare.
Al mattino dovrà correre come un pazzo da un'aula all'altra. All'inizio non potrà fare altro che tenervi ferme le udienze mentre voi le macinate. Imparerà a fendere il capannello dei colleghi che vogliono pas- sare per primi. Si farà le ossa.
Non mandatelo in udienza se prima non si è presentato come si deve ai colleghi più anziani e al giudice.
Oggi questa abitudine molto salutare si è persa come polvere al vento. Noi non potevamo presentarci a un'udienza con un collega sconosciuto se prima non ci presentavamo a lui.
Era considerata una grave scorrettezza deontologica non far sapere chi fossimo e da quale studio provenissimo.
Oggi ti capita di arrivare a qualche udienza – trafelati come al solito – e aspettare qualche buona mezz'ora.
Poi, all'improvviso, spunta qualche avvocatino in erba oppure un praticante che si mette a strillare il tuo cognome in corridoio come alla visita militare.
Quando gli dite "presente!", non ti dice chi è, l'idiota, nossignore, ti vomita addosso soltanto che arriva dallo studio pinco e che le sue istruzioni prevedono di opporsi a tutte le tue domande.
Non mandate il vostro praticante in udienza se non ha studiato il fascicolo come se fosse l'ultimo numero di Playboy.
All'inizio, per ognuno di noi, è stata dura affrontare l'aula. Il difficile è imparare a parlare davanti agli altri e confrontarsi con un giudice.
Fate come hanno fatto con me.
Mandatelo davanti al giudice a farsi firmare i rinvii già concordati con la controparte. Andare dal giudice con il verbale già predisposto e con la certezza quasi assoluta che non ti chiederà altro, aiuta molto le prime volte. Mano a mano che quella fase introduttiva comincia a passare, fategli prendere una maggiore confidenza con qualcosa di più impegnativo.
Dovrà compiere qualche traversata a vista. Poi verrà il momento della navigata solitaria.
Quando quel momento arriverà, dovrete fidarvi.
Preparatelo bene bene il giorno prima, e siate sicuri che il vostro sostituto in erba ancora verde abbia capito la linea da seguire ed abbia studiato il fascicolo.
Vi prego, vi imploro, non mandatelo in aula con delle istruzioni scritte su di un foglio come lo spesino quando va dal verduriere.
Le istruzioni che contano davvero, quelle che bru- ciano in tasca e bruciano sulla lingua come quando vogliamo urlare una cosa che sappiamo e gli altri no,sono soltanto ciò che ci è entrato in testa con lo studio del fascicolo.
I praticanti che fanno così sono animali rari.Molto più diffuso è invece il praticante foglio-munito che tuttavia non sa un cazzo della causa.
Assomigliano molto agli orsetti a cui si spara al luna park.
Sisiedono,emettonoleistruzionidallaboc-ca come automi, e se il giudice gli fa una doman-da anche banale fuori dal seminato, vanno in palla all'istante.
Roteano gli occhi, sudano e cominciano a balbettare.
Sono tutti sintomi tipici della guida in stato di ebbrezza oppure dell'impreparazione.
Non ho mai preteso che un praticante andasse in giro con un foglio delle istruzioni come all'Ikea.
Voglio che abbia capito ciò per cui lo manderò il giorno dopo davanti a un giudice.
Lui, in quel momento, siete voi in udienza e quindi deve rappresentarvi al meglio.
Non mandate in udienza praticanti vestiti alla bell'e meglio.
I ragazzi dovranno indossare giacca e cravatta, le ragazze evitare generosi decolleté e spacchi di coscia troppo golosi. Non sono un bigotto. Il sesso è una pratica vitale e bellissima da vivere in assoluta privacy dentro quattro mura e con la serietà di un monaco benedettino.
Per questo motivo tutto ciò che gli è consustanziale – come la lingerie audace e gli abbigliamenti selvaggi – si devono fermare sulla soglia di un'aula di giustizia.
Non date subito le chiavi dello studio a un praticante. Le chiavi rappresentano lo strumento esclusivo di accesso a un luogo gelosamente privato in cui si trova del materiale sensibile e delicato perché riguarda le pene e i patimenti delle persone.
Non potete consegnarle a cuor leggero a chi conoscete appena o soltanto perché possa aprire prima di voi al mattino per farvi dormire un quarto d'ora in più.
La loro materiale consegna presuppone un rapporto di cieca fiducia e solidarietà.
Gliele potrete consegnare soltanto quando avrete compreso esattamente chi è quel praticante per voi.
Infine. Pagatelo subito il vostro praticante.
È vero che deve imparare ma lo farà svolgendo un lavoro molto delicato per soddisfare un interesse patrimoniale non suo.
Ha diritto che gli riconosciate qualcosa, anche per sottolineare come non sia del tutto inutile ciò che fa e per sentirsi considerato un autentico aiuto e non un qualcuno relegato in una stanza vuota a rispondere al telefono.
L'ultimo e forse il più importante dei segni rivelatori ai quali mi sono attenuto con l'esperienza per sbagliare meno del solito nella scelta di un praticante resta il tempo, l'orologio, la presenza, o come volete chiamarlo.
Un praticante si misura da quanto si fermerà in studio con te.
Se è un soggetto attento agli orari canonici del- la giornata – il pranzo e la cena – e quindi stacca dall'ufficio con la precisione di un cronometro, sapete già cosa aspettarvi.
Un praticante a cui l'orologio resta cucito ai vestiti ed alla pelle è incompatibile con la nostra professione, fatta soltanto di emergenze, orari da corsia ospedaliera e prolungamenti in studio soprattutto quando non previsti.
Se fate il penale, anche la notte può tendervi degli agguati. Sono i più subdoli.
Perquisizioni e sequestri sono tipici atti a sorpresa che non rispettano il pranzo o la cena.
Non c'è niente di più irritante di quei praticanti che – nel fuoco della trincea – ti dicono che devono – usano proprio questo verbo dagli angoli ottusi - andare.
Ma andare dove, se stai lavorando e vieni in studio da me per imparare?
Se sei al tavolo operatorio puoi dire al chirurgo che devi andare?
Mio papà – che non era avvocato – mi diceva sempre che avrei dovuto rubare il mestiere al mio maestro. Era un ligure e considerava il lavoro come un'arte.
Per arrivare a livelli elevati sono necessarie pazienza e tenacia: mai guardare neanche una volta quanti giri faccia la lancetta dei minuti.
Anche in quello consiste rubare il mestiere a qualcuno. Se quindi il praticante in questione è un seguace degli orari fissi, stile impiegato, consigliategli di scegliere un lavoro più tranquillo e levatevelo dai piedi. Non sarà mai un avvocato.
Se applicherete tutte queste regole non aspettatevi che il praticante ideale si materializzi davanti a voi, come se fosse uscito dalla lampada di Aladino.
Dovranno trascorrere alcuni anni prima che ciò accada, se avrete la fortuna di incontrare una persona adatta. Altrimenti, meglio restare da soli.
Si fa molta più fatica, d'accordo, ma almeno alla notte si dorme senza affanni e non ci si rode il fegato. Ho incontrato il mio praticante ideale dopo circa quindici anni, a coronamento di una serie indefinita di ragazzi transitati dallo studio con le motivazioni più diverse.
Fatevene una ragione. Bisogna avere culo. Io l'ho avuto.

 

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