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Giustificato motivo oggettivo: sì alla reintegra se il datore non dimostra l’impossibilità di ricollocare altrove il dipendente.

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La massima

In tema di licenziamento, il fatto costitutivo del giustificato motivo oggettivo è rappresentato non solo dalle ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, ma anche dall'impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore (cd. "repéchage"). Deve, pertanto, ritenersi sussistente il diritto del lavoratore alla tutela reintegratoria, in conformità dell'attuale assetto normativo delineato dall'art. 18, legge n.300/1970 quale definito dalle sentenze della Corte costituzionale n. 59 del 2021 e n. 125 del 2022, tutte le volte che il datore di lavoro non fornisca la prova della impossibilità di utile ricollocazione lavorativa del dipendente.

Cassazione, sez. lavoro, sentenza del 18.11.2022, n. 34051.

Il fatto.

Il giudice del lavoro, pronunziando sulla domanda intesa all'accertamento della illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo ed alla reintegra nel posto di lavoro, dichiarava risolto tra le parti il rapporto, condannando la convenuta al pagamento, in favore del ricorrente, dell'indennità risarcitoria ex art. 18 della legge n.300 del 1970, commisurata sull'ultima retribuzione globale di fatto nella misura di sedici mensilità.

Investita della questione, la Corte di appello, rigettava l'appello dell'Associazione datrice e, confermata nel resto la decisione di primo grado, la condannava al pagamento dell'ulteriore risarcimento del danno, collegato alla modalità di risoluzione del rapporto, quantificato in via equitativa nella somma di € 15.000,00 oltre accessori.

Secondo la Corte territoriale, la riorganizzazione attuata dal nuovo Direttore Generale dell'Associazione doveva ritenersi effettiva, non simulata, nonché espressione della libertà di iniziativa economica non sindacabile in sede giudiziale nei suoi profili di congruità e

opportunità. Infatti, la lettera di recesso, così come la precedente comunicazione inviata al dipendente ai sensi dell'art. 7 legge n. 604/1966, fra loro congruenti, indicavano chiaramente la ragione di carattere tecnico - produttivo giustificativa del licenziamento, costituita dalla soppressione della posizione ricoperta fino a quel momento dal ricorrente. In tal modo, secondo la corte, parte datoriale aveva fornito sufficiente ed adeguata dimostrazione della effettività della causale, rappresentata dal riassetto organizzativo del settore Comunicazioni, offrendo ulteriore, seppure non necessaria, dimostrazione, dell'esigenza di riduzione dei costi, realizzata attraverso la redistribuzione di una parte di attività tra altri soggetti.

Per contro, in merito al repechage, il giudice di appello rilevava che le contestazioni svolte dall'Associazione erano del tutto generiche ed inadeguate a contrastare le allegazioni sviluppate al riguardo da parte ricorrente circa l'assunzione, in prossimità temporale con il licenziamento, di altri dipendenti, e, peraltro, che l'Associazione non aveva dato prova di ricollocazione del dipendente in una diversa posizione, anche nel campo della formazione- docenza o in mansioni inferiori a quelle di appartenenza.

Per la cassazione della sentenza della Corte territoriale proponevano ricorso sia il lavoratore che la società datrice.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, dopo aver ricordato che fatto costitutivo del giustificato motivo oggettivo è rappresentato non solo dalle ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, ma anche dall'impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore (cd. "repéchage"), ha ritenuto sussistente il diritto del ricorrente alla tutela reintegratoria, collegandolo alla mancata dimostrazione da parte dell'Associazione datrice della impossibilità di utile ricollocazione lavorativa del dipendente, ciò in conformità dell'attuale assetto normativo delineato dall'art. 18, legge n.300/1970 quale definito dalle sentenze della Corte costituzionale n. 59 del 2021 e n. 125 del 2022, successive al deposito dell'impugnazione.

Tali sentenze, hanno ricordato gli ermellini, sono intervenute sul precedente quadro normativo relativo al tipo di tutela applicabile in presenza di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo del quale sia dichiarata la illegittimità per insussistenza del fatto alla base dello stesso.

In particolare, ha proseguito la Cassazione, la sentenza della Corte costituzionale n. 59 del 2021 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 come modificato dall'art. 1, comma 42, lettera b) della legge 28 giugno 2012, n. 92 nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, «può altresì applicare» - invece che «applica altresì» - la disciplina di cui al medesimo art. 18, quarto comma.

La sentenza costituzionale n. 125/2022, con prospettiva ancor più radicale, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall'art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92 limitatamente alla parola «manifesta».

Il testo dell'art. 18 comma 7, legge n. 300/1970, quale risultante all'esito degli interventi della Corte costituzionale, comporta che in ipotesi di insussistenza del fatto alla base del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, il giudice deve applicare la tutela di cui al comma 4 dell'art. 18, quale risultante dalla novella della legge n. 92/2012, implicante la reintegra del lavoratore ed il pagamento di un'indennità risarcitoria nei limiti definiti dal comma medesimo.

Tale ricostruzione, ha concluso la Cassazione, è stata avallata dalla Corte costituzionale la quale, nella sentenza n. 125/2022 cit., dopo avere ricordato che è onere del datore di lavoro dimostrare i presupposti legittimanti il licenziamento, alla luce dell'art. 5 della legge 15 luglio 1966, n. 604, che completa e rafforza, sul versante processuale, la protezione del lavoratore contro i licenziamenti illegittimi, con riferimento al licenziamento intimato per «ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa» (art. 3 della legge n. 604 del 1966) ha precisato che « Il fatto che è all'origine del licenziamento per giustificato motivo oggettivo include tali ragioni e, in via prioritaria, il nesso causale tra le scelte organizzative del datore di lavoro e il recesso dal contratto, che si configura come extrema ratio, per l'impossibilità di collocare altrove il lavoratore.

La Corte ha, pertanto, cassato in parte qua la decisione impugnata, con rinvio alla Corte di appello, in diversa composizione, per il riesame della fattispecie alla luce del modificato quadro normativo in tema di tutela applicabile per l'ipotesi di illegittimità del licenziamento per insussistenza del fatto, quale definito dai richiamati interventi del giudice costituzionale.

 

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