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Valido il licenziamento formalizzato con il verbale di mancata conciliazione.

licenziamento-nullo

 Il principio di massima (non ufficiale)

La volontà del datore di lavoro di recedere unilateralmente dal rapporto di lavoro può essere validamente espressa anche con dichiarazione ribadita alla Commissione provinciale e compiutamente verbalizzata, dopo che il tentativo di conciliazione sia stato già espletato con insuccesso.

Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza del 22 aprile 2024, n. 10805.

Premessa.

L'articolo 2, secondo comma, della legge n. 604 del 1966 impone al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, di comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro.

Anche se non sono previste particolari formule di stesura, reputandosi sufficiente un qualsiasi atto scritto idoneo a manifestare la volontà di recedere, la forma scritta del licenziamento (salvo i casi di lavoro domestico, lavoro in prova oppure di lavoratori ultrasessantenni che abbiano maturato il diritto alla pensione, nel cui caso il licenziamento può essere anche ad nutum) è obbligatoria a pena d'inefficacia dell'atto:

il licenziamento comunicato solo oralmente non produce, infatti, alcun effetto e, in particolare, non interrompe il rapporto di lavoro tra le parti, sicché il datore di lavoro è tenuto a continuare a pagare la retribuzione al lavoratore sino a quando non sopravvenga un'efficace causa di risoluzione o estinzione del rapporto di lavoro o l'effettiva riassunzione.

Con l'ordinanza n. 10805 pubblicata il 22 aprile 2024, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che la finalità sottesa all'onere della forma scritta - che è poi quella di mettere a conoscenza il lavoratore del recesso ed anche di richiamare l'attenzione del soggetto dichiarante sull'importanza e la delicatezza della manifestazione di volontà contenuta nella dichiarazione medesima - deve ritersi soddisfatta anche nel caso in cui il datore di lavoro abbia formalizzato la propria volontà di recedere dal rapporto, in una sede istituzionale, alla presenza dei propri rappresentanti, oltre che di un soggetto terzo (il presidente della commissione) nell'ambito di un verbale di mancata conciliazione, a seguito della procedura di cui all'art. 7 L. 604/1966.

Sussistendo tali circostanze, dunque, secondo la Corte, può ritenersi rispettato il requisito della forma scritta imposta a pena di nullità dalla legge.

(Nella fattispecie, il datore di lavoro aveva inserito, nel verbale stilato a seguito di esito negativo della procedura di conciliazione, la locuzione "la ditta contesta e conferma la propria volontà di licenziamento").

Il caso.

La Corte d'appello, in parziale accoglimento del reclamo proposto da una società datrice contro la sentenza del Tribunale con la quale era stata accolta l'impugnativa di licenziamento proposta da una dipendente, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato alla lavoratrice, dichiarava risolto tra le parti il rapporto lavorativo e condannava la reclamante al pagamento in favore della reclamata di un'indennità pari a 18 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione ed interessi dalla maturazione al soddisfo.

Nel dettaglio, l'appellante aveva censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui era stata ravvisata l'esistenza di un licenziamento orale, assumendo l'impugnante che l'espressione della volontà di recedere dal rapporto travasata in un verbale scritto e firmato da entrambe le parti soddisfasse le funzioni connesse al requisito di forma prescritto.

Contro tale decisione ha proposto ricorso la lavoratrice, deducendo la violazione dell'art. 1, co. 40 L. 92 del 2012", così come novellato dall'art. 7 L. n. 604/1966, dal momento che, secondo la tesi della ricorrente, tale disposizione distinguerebbe la fase del tentativo di conciliazione dalla fase della comunicazione del recesso.

La decisione della Cassazione.

Nell'ordinanza i decidenti hanno anzitutto precisato che dettato normativo del terzo periodo del comma 6 dell'art. 7 L. n. 604/1966 ("Se fallisce il tentativo di conciliazione e, comunque, decorso il termine di cui al comma 3, il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore") delinea una condizione legale (sospensiva) ed un termine (dilatorio); di talché, una volta avveratasi la prima o scaduto il secondo, il datore di lavoro "può comunicare il licenziamento al lavoratore". 

Il dato letterale della previsione, si legge nel provvedimento in commento, depone nel senso che il legislatore (delegato) nel novellare l'art. 7 l. n. 604/1966 abbia annesso rilievo al fatto obiettivo del fallimento del tentativo di conciliazione piuttosto che al dato cronologico e formale della chiusura del "verbale redatto in sede di commissione provinciale di conciliazione", cui si riferisce il successivo comma 8 dello stesso art. 7 cit. Invero, detto verbale può senz'altro attestare l'esito del tentativo di conciliazione e, per quanto qui interessa, il suo fallimento, ma appunto per questo documenta un dato logicamente e giuridicamente distinto ed anteriore al momento della chiusura della relativa verbalizzazione. Inoltre, sempre il tenore testuale della disposizione non impone che la comunicazione del licenziamento, consentita al datore di lavoro "Se fallisce il tentativo di conciliazione", debba intervenire in un contesto differente e successivo a quello del verbale suddetto.

Ciò, del resto, prosegue la Corte, è conforme alla ratio evidente della disposizione specifica che, nell'ambito di una trama normativa che ha inteso procedimentalizzare il potere datoriale di recedere dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo, vuole solo consentire al datore di lavoro di comunicare il licenziamento, una volta appunto che sia fallito il tentativo di conciliazione che gli è ora imposto di chiedere di percorrere oppure dopo che sia decorso il termine entro il quale la direzione territoriale del lavoro deve trasmettere alle parti la convocazione per l'incontro a fini conciliativi su richiesta del datore di lavoro. Quando si sia verificato l'uno o l'altro di tali presupposti, d'altronde, alcuna esigenza di tutela degli interessi del lavoratore potrebbe plausibilmente giustificare l'assunto che la comunicazione del licenziamento al lavoratore debba necessariamente intervenire in un contesto distinto dal verbale redatto in sede d'incontro.

Valida, dunque, la volontà datoriale di licenziamento ribadita innanzi alla Commissione provinciale e compiutamente verbalizzata, dopo che il tentativo di conciliazione sia stato già espletato con insuccesso. 




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