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Cassazione lavoro: no agli atti di coartazione fisica e psicologica nei confronti degli alunni indisciplinati

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 Il principio di massima.


In tema di sanzioni disciplinari, l'adozione, da parte di un docente, di reiterati comportamenti minacciosi ed aggressivi verso minori costituisce giusta causa di licenziamento, in quanto il metodo educativo non giustifica il compimento di atti anche solo potenzialmente lesivi dell'integrità psico-fisica dell'individuo e contrastanti con la centralità dei diritti inviolabili dell'uomo nel disegno costituzionale e con le finalità stesse dell'attività educativa, secondo gli standard valutativi dell'attuale coscienza sociale. 
(Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, il giudice del secondo grado - pur considerando antiquato e non condivisibile il metodo educativo della docente - aveva ritenuto sproporzionata la sanzione espulsiva irrogata ad un'insegnante della scuola elementare, che si era resa responsabile di una serie di atti di coercizione fisica e psicologica in danno di alcuni alunni della scuola elementare).


Corte di Cassazione, sez. lav., sentenza del 09/05/2024, n. 12746.


I fatti.

Il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, dichiarava la legittimità del licenziamento in tronco intimato ad una docente che aveva riportato una condanna ad un anno di reclusione per il reato di maltrattamenti in danno di minori.

Secondo il giudice del primo grado, la condotta dell'insegnante rientrava appieno nella previsione di cui all'art. 55 quater lett. e), D.Lgs. n. 165/2001, che punisce con la sanzione espulsiva l'uso di le condotte minacciose dirette ai minori, ciò dal momento che i fatti, così come accertati, non solo erano da reputarsi in contrasto con i doveri inerenti la funzione di docente, ma erano connotati da gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro.

 La sentenza del Tribunale, impugnata dall'insegnante, veniva, però, parzialmente riformata dalla Corte d'appello, la quale riteneva sproporzionata la sanzione espulsiva adottata dall'amministrazione.

Secondo la Corte Territoriale, sebbene fosse innegabile che la docente avesse ecceduto i limiti che debbono essere osservati non soltanto nella attività educativa, ma nella comune convivenza civile, non poteva reputarsi altresì che la condotta contestata fosse in concreto di tale gravità da giustificare il licenziamento.

A detta del giudice del secondo grado, i comportamenti addebitati alla docente (in concreto consistiti in episodi di vero e proprio trascinamento in castigo dei bambini e in minacciose imposizioni) manifestavano un antiquato e non condivisibile approccio educativo basato sulla fisicità, ancorché reattivo a comportamenti indisciplinati, ma non erano connotati da gravità tale da giustificare il licenziamento.

In riforma della sentenza di primo grado, pertanto, la Corte d'Appello, sostituiva la sanzione espulsiva con la sospensione temporanea con privazione della retribuzione per la durata di 3 mesi, dichiarando, altresì, il diritto della docente alla reintegrazione nel posto di lavoro e ad un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di fatto percepita dal giorno del licenziamento, sino alla reintegra.

Per la cassazione di tale sentenza il Ministero proponeva ricorso, deducendo la violazione e falsa applicazione di alcune norme (tra cui l'art. 498 del D.Lgs. n. 294/1997, art. 55 – quater del D.Lgs. n. 165/2001, art. 13 del c.c.n.l. docenti 2016 – 2018) per essere le condotte addebitate, ormai pacifiche e risultanti accertate nel procedimento penale, improntate a violenza e sopraffazione psicologica degli studenti, tali da aver reciso il vincolo fiduciario con l'amministrazione.

 La decisione della Cassazione.


Secondo la Corte, la condotta consistente in reiterati comportamenti aggressivi e minacciosi nei confronti di minori, non solo non può essere considerata un metodo educativo, così come affermato dai giudici della Corte d'Appello, ma, addirittura, non può nemmeno lontanamente rientrare nella nozione di attività educativa, ponendosi, invece, in radicale contrapposizione con le finalità dalla stessa perseguite, secondo gli standard valutativi attuali della coscienza sociale.


La valutazione espressa sul punto dalla Corte territoriale, ha concluso dunque la Cassazione, contrasta con l'individuazione della scala valoriale di riferimento nell'integrazione della norma elastica della giusta causa di licenziamento in relazione alla condotta attribuita alla docente, tanto più ove si consideri la qualità di insegnante della scuola elementare e l'età degli alunni, elementi che implicano l'esigenza di considerare con particolare attenzione lo stato psicologico dei minori affidati a una persona che avrebbe dovuto piuttosto rappresentare un modello di riferimento per il loro sviluppo.


La Sezione Lavoro ha, quindi, annullato la decisione d'appello, rinviando la causa per nuova valutazione alla Corte d'appello in diversa composizione.

 

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