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Con la sentenza n. 29597 dello scorso 7 ottobre, la IV sezione penale della Cassazione ha confermato la condanna per omicidio colposo inflitta ad un ginecologo per la morte di un neonato in quanto il sanitario, pur in presenza di un marcato aggravamento delle condizioni cliniche di una partoriente, aveva omesso qualsiasi approfondimento diagnostico che con elevato grado di certezza, avrebbe ridotto se non eliso l'evento letale.
Si è quindi statuito che il mancato prolungato monitoraggio della partoriente costituisce una omissione colposa in quanto contraria alle leges artis, che impongono un costante monitoraggio tococardiografico della partoriente finalizzato proprio a diagnosticare tempestivamente l'eventuale sofferenza fetale e a intervenire tempestivamente per evitare gli insulti anossico-ischemici intrapartum.
Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dall'esercizio dell'azione penale a carico di un ginecologo, ritenuto colpevole del decesso di un bambino, avvenuto per complicanze respiratorie in grave quadro di encefalopatia ipossico-ischemica conseguente alla rottura dell'utero materno a termine di gestazione.
In particolare, si contestava al camice bianco di non aver verificato, all'inizio del proprio turno, né le condizioni del feto, con i dovuti tracciati cardiotocografici, né i dati clinici relativi alla partoriente, così omettendo di effettuare i dovuti accertamenti, limitandosi a somministrare antidolorifici, nonostante sia la donna che i familiari ripetutamente avessero segnalato la persistenza di dolore addominale ingravescente.
A causa di tali negligenze, il medico non riusciva a rilevare la grave sofferenza del feto (risultata poi dovuta alla rottura dell'utero materno a termine di gestazione) che, se prontamente individuata, avrebbe suggerito ed imposto un intervento tempestivo idoneo a ridurre massimamente le complicanze per il nascituro.
Per tali fatti, sia il Tribunale di Venezia che la Corte di Appello di Venezia condannavano il ginecologo alla pena di giustizia.
La difesa del sanitario, ricorrendo in Cassazione, censurava la sentenza impugnata per mancata, contraddittoria ed illogica motivazione, rilevando assoluta rarità nonché eccezionalità dell'evento della rottura spontanea dell'utero ed evidenziando come, nel caso di specie, non esistevano le condizioni, gli indizi, i presupposti o le manifestazioni patologiche significanti che avrebbero potuto far supporre tale remotissima possibilità.
A tal fine eccepiva come la sentenza impugnata non avesse spiegato in maniera soddisfacente perché il ginecologo avrebbe dovuto eseguire un costante monitoraggio attraverso il tracciato cardiotocografico per verificare una presunta patologia di assoluta eccezionalità.
La Cassazione non condivide le censure formulate dall'imputato, che si sostanziano nell'offerta di una diversa valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio, inammissibile in sede di legittimità.
La sentenza in commento ricorda che il mancato prolungato monitoraggio della partoriente costituisce una omissione colposa in quanto contraria alle leges artis, che impongono un costante monitoraggio tococardiografico della partoriente finalizzato proprio a diagnosticare tempestivamente l'eventuale sofferenza fetale e a intervenire tempestivamente per evitare gli insulti anossico-ischemici intrapartum.
Difatti, l'errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi.
Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini prendono atto dell'assoluta rarità, benché non eccezionalità, dell'evento di rottura spontanea d'utero in pazienti nelle condizioni in cui versava la partoriente al momento del ricovero; cionondimeno correttamente i giudici di merito hanno ritenuto responsabile l'imputato, che era stato debitamente informato – sia dai familiari della partoriente sia dagli infermieri e da altri suoi colleghi – delle fortissime ed anomale algie addominali della donna, che lasciavano presagire l'eccezionalità della situazione.
In particolare, la Corte di merito ha specificato che la condotta a lui addebitata si sostanziava non già nel non aver tempestivamente diagnosticato la rottura d'utero, quanto nell'omesso monitoraggio costante della paziente, con continui tracciati e ulteriori approfondimenti diagnostici volti ad accertare il benessere fetale: attività, queste, che il sanitario non effettuò per tutta la durata del suo turno di servizio e che, invece, avrebbero consentito di accertare con congruo anticipo la sofferenza fetale e quindi di anticipare il parto almeno di alcune ore, prevenendo così le gravi lesioni subite dal neonato o quanto meno cagionandogli lesioni ben più lievi.
In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
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