Se questo sito ti piace, puoi dircelo così

Dimensione carattere: +

Pneumologa presente durante intervento al torace, SC: “Deve sorvegliare sull’operato dei chirurghi”

Imagoeconomica_1502847

Con la sentenza n. 28316 dello scorso 29 settembre, la IV sezione penale della Corte di Cassazione, ha condannato una pneumologa che aveva omesso di controllare l'attività di due chirurghi intenti a compiere una toracentesi su un paziente affetto da difficoltà respiratorie.

Si è difatti ribadito che in materia di colpa medica nelle attività d'equipe, del decesso del paziente risponde ogni componente dell'equipe, che non osservi le regole di diligenza e perizia connesse alle specifiche ed effettive mansioni svolte, e che venga peraltro meno al dovere di conoscere e valutare le attività degli altri medici in modo da porre rimedio ad eventuali errori, che pur posti in essere da altri siano evidenti per un professionista medio.

Il caso sottoposto all'esame della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di una pneumologa, imputata del reato di cui all'art. 589 c.p. per il decesso di un signore,

ricoverato in ospedale ove si era sottoposto ad intervento di toracentesi.

La pneumologa, accorgendosi del peggioramento delle condizioni del paziente, chiedeva una consulenza chirurgica ai chirurghi che avevano eseguito il precedente intervento di toracentesi, i quali decidevano di eseguire sul posto una seconda toracentesi, senza l'ausilio di una guida ecografica ed in mancanza dei risultati della TAC che la pneumologa aveva nel contempo richiesto.

L'imputata, presente nella stanza di degenza del paziente, onde facilitare le manovre operatorie e permettere che l'uomo assumesse un'idonea posizione, si poneva davanti al paziente per reggerlo; i due chirurghi, a tergo del paziente, praticavano la toracentesi sul polmone sano, cagionando in tal modo la morte del paziente per arresto cardiocircolatorio dovuto ad asfissia acuta.

Il Giudice di primo grado assolveva la imputata per non avere commesso il fatto, sostenendo che la stessa non solo non poteva considerarsi parte della equipe che aveva effettuato la toracentesi sulla persona del paziente, ma neanche avrebbe potuto in alcun modo rendersi conto dell'altrui errore, essendo la sede dell'intervento coperta dal corpo del paziente da lei sorretto. 

La Corte di Appello di Venezia, in riforma della pronuncia assolutoria di primo grado, condannava il medico alla pena di mesi quattro di reclusione, sul presupposto che – avendo la dottoressa sorretto il paziente durante l'effettuazione della toracentesi – avesse partecipato all'atto chirurgico, il cui tragico epilogo si era realizzato anche a causa del fatto che l' imputata non aveva preteso che si intervenisse con una guida ecografica e non si era accorta dell'erroneo intervento sul polmone sano.

Avverso la pronuncia di condanna, la pneumologa ricorreva in Cassazione, eccependo l'errore compiuto dalla Corte distrettuale nell'averla inclusa nella cooperazione esecutiva dell'intervento di toracentesi, causa della morte del paziente: a tal fine deduceva come la sua presenza si giustificava alla luce della richiesta dei chirurghi di avere una persona che si accostasse al malato per sostenerne la posizione durante l'operazione; proprio in virtù di tale posizione, la ricorrente non aveva avuto modo di conoscere e valutare l'attività svolta dagli altri colleghi.

La Cassazione non condivide la doglianza della ricorrente.

La Corte – premesso che la titolarità della posizione di garanzia deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto – ricorda come nel settore dell'attività medica, la posizione di garanzia esplica la sua funzionalità sia in relazione agli obblighi di protezione, che impongono di preservare il bene protetto da tutti i rischi che possano lederne l'integrità, sia in relazione agli obblighi di controllo e sorveglianza, che impongono di neutralizzare le eventuali fonti di pericolo che possano minacciare il bene protetto.

Qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela finché non si sia esaurito il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia. 

Ne deriva che, in materia di colpa medica nelle attività d'equipe, del decesso del paziente risponde ogni componente dell'equipe, che non osservi le regole di diligenza e perizia connesse alle specifiche ed effettive mansioni svolte, e che venga peraltro meno al dovere di conoscere e valutare le attività degli altri medici in modo da porre rimedio ad eventuali errori, che pur posti in essere da altri siano evidenti per un professionista medio.

Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come la dottoressa aveva assunto una posizione di garanzia nei confronti del paziente, sia per la sua qualifica di medico pneumologo, sia per l'intervenuta partecipazione all'intervento chirurgico, estrinsecatesi nel breve atto di reggere il paziente, facendogli assumere la posizione più idonea per l'intervento: proprio per aver sorretto il paziente durante l'effettuazione della toracentesi, correttamente si è ritenuto che l'imputata avesse partecipato all'attività di equipe, con conseguente assunzione degli obblighi protettivi nascenti dall'instaurato rapporto, di carattere anche di controllo.

In merito alla pluralità di posizioni di garanzia, gli Ermellini evidenziano come tutti i sanitari realizzarono una congiunta attività terapeutica, con una ripartizione di compiti e di ruoli (i chirurghi, a tergo, praticavano la toracentesi e la pneumologa reggeva il paziente per consentire la espansione toracica), con la conseguenza che la responsabilità dell'imputata – in applicazione dei principi giurisprudenziali sopra richiamati – non poteva essere venuta meno per il solo fatto che altri soggetti - titolari di altrettante posizioni di garanzia - avessero agito sul paziente, ponendo in essere materialmente l'erronea attività invasiva intervento di toracentesi sul polmone sano che lo condusse a morte.

Da ultimo la Corte specifica i precisi addebiti della dottoressa, connessi alla sua posizione di garanzia: le specifiche competenze per la sua qualifica di pneumologo, nonché la partecipazione all'intervento chirurgico, le imponevano di effettuare un'attività di controllo più ampia, ossia, prima della manovra operatoria, pretendendo l'impiego del mezzo ecografico e, durante la manovra operatoria, facendo in modo di mantenere il contatto visivo che, certamente, la guida ecografica avrebbe consentito.

La Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. 

 

Tutti gli articoli pubblicati in questo portale possono essere riprodotti, in tutto o in parte, solo a condizione che sia indicata la fonte e sia, in ogni caso, riprodotto il link dell'articolo.

Quando è obbligatorio nominare un amministratore c...
Avvocati: come procedere nei confronti del cliente...

Forse potrebbero interessarti anche questi articoli

Cerca nel sito