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Compensi professionali: la lettera contenente una riserva di agire non ha efficacia interruttiva

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Con l'ordinanza n. 4438 dello scorso 20 febbraio, la II sezione civile della Corte di Cassazione, pronunciandosi sulla richiesta avanzata da un legale volta ad ottenere i compensi maturati per l'attività espletata in un giudizio, ha accolto l'eccezione di prescrizione presuntiva sollevata dalla convenuta, escludendo che una lettera contenente una riserva ad agire potesse interrompere la prescrizione .

Si è difatti specificato che "l'atto, per avere efficacia interruttiva, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l'esplicitazione di una pretesa e l'intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l'effetto sostanziale di costituirlo in mora (elemento oggettivo). E' priva di efficacia interruttiva la riserva, anche se contenuta in un atto scritto, di agire, trattandosi di espressione che, per genericità e ipoteticità, non può in alcun modo equipararsi a una intimazione o a una richiesta di pagamento.".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio da una domanda di un professionista volta ad ottenere il pagamento dei compensi maturati, nei confronti di una cliente, per le attività espletate in un giudizio civile prima che rinunciasse al mandato; la cliente, costituendosi in giudizio, eccepiva l'intervenuta prescrizione del credito professionale. 

Il Tribunale di Avellino respingeva la domanda di pagamento avanzata dal legale, accogliendo l'eccezione di prescrizione presuntiva ex art. 2956 c.c., comma 2, sollevata dalla convenuta.

La Corte di appello di Napoli confermava la sentenza di primo grado, rilevando come il decorso del termine per la prescrizione si avviasse a far tempo dalla data della decisione della lite innanzi al tribunale di Frosinone e che le lettere inviate, medio tempore, dal legale non fossero idonee a interrompere la prescrizione, mancando una richiesta di pagamento.

Il legale, ricorrendo in Cassazione, censurava la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 2957, secondo comma, c.c., dolendosi dell'accoglimento dell'eccezione di prescrizione presuntiva.

A tal fine rilevava come erroneamente la Corte di Appello aveva ritenuto che le missive inviate fossero inidonee all'interruzione della prescrizione.

La Cassazione non condivide le doglianze del ricorrente.

La Corte specifica che il passaggio in giudicato della sentenza può ritenersi indicativo del dies a quo solo nei casi ordinari in cui la lite sia giunta a compimento con il medesimo patrocinio legale per tutta la sua durata; nei diversi casi di "cause non giunte a compimento", spetta al giudice rinvenire il dies a quo più confacente alle caratteristiche del caso concreto, tenendo in considerazione gli ulteriori elementi desumibili dalle norme menzionate e/o dai patti tra le parti.

Con specifico riferimento al caso di specie, la corte d'appello ha correttamente fatto decorrere la prescrizione presuntiva dalla data della sentenza del tribunale di Frosinone, valorizzando il contenuto di una missiva del legale ove esplicitamente quest'ultimo ammetteva di non aver ritenuto opportuno di aggiungere il (suo) nome all'appello affidato ad altri legali. 

Il giudice ha escluso, al contempo, che le precedenti missive invocate dal ricorrente potessero avere un impatto interruttivo, essendo quest'ultime afferenti a meri "rapporti informativi" tra i difensori, inviate alla cliente solo "per conoscenza" e, quindi, mancanti di qualsiasi intimazione ovvero richiesta di pagamento dei compensi.

Difatti, l'atto, per avere efficacia interruttiva, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l'esplicitazione di una pretesa e l'intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l'effetto sostanziale di costituirlo in mora (elemento oggettivo).

Benchè quest'ultimo requisito non sia soggetto a rigore di forme, all'infuori della scrittura, non può nondimeno ritenersi ravvisabile in semplici sollecitazioni prive del carattere di intimazione e di espressa richiesta di adempimento al debitore: è, difatti, priva di efficacia interruttiva la riserva, anche se contenuta in un atto scritto, di agire, trattandosi di espressione che, per genericità e ipoteticità, non può in alcun modo equipararsi a una intimazione o a una richiesta di pagamento.

In conclusione la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. 

 

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