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Con la pronuncia n. 2803 dello scorso 5 febbraio, la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha fornito interessanti specificazioni sui casi in cui è possibile intimare il licenziamento ad un dipendente di un'azienda sottoposta a sequestro preventivo ai sensi e per gli effetti del Codice Antimafia, specificando che "l'amministratore giudiziario può procedere alla risoluzione dei rapporti di lavoro in forza della previsione dell'art. 56 del citato decreto, senza che trovino applicazione le garanzie proprie del licenziamento disciplinare, essendo tuttavia necessario che la risoluzione del rapporto contenga la specificazione dei motivi di recesso, in quanto principio generale in materia di licenziamenti".
Nel caso sottoposto all'attenzione della Corte, il direttore tecnico di azienda sottoposta ad amministrazione giudiziaria impugnava il licenziamento deducendo che fosse stato intimato durante il periodo di malattia e in violazione della normativa dell'art. 7 della legge n. 300/70, per il solo fatto che egli risultava persona sottoposta alle indagini, per reati inerenti il traffico illecito di rifiuti.
Il Tribunale di Agrigento rigettava il ricorso, sul rilievo che il licenziamento fosse riconducibile alla disciplina speciale del codice antimafia, applicabile alla fattispecie a motivo del decreto di sequestro preventivo che aveva attinto la società datrice di lavoro, sottoponendola ad amministrazione giudiziaria, sicché talenormativa speciale, improntata alla salvaguardia dell'ordine pubblico, sottraeva il licenziamento alle garanzie procedimentali proprie del licenziamento disciplinare, con conseguente irrilevanza deifatti dedotti dal lavoratore, riferibili alla sua persona.
La decisione veniva ribaltata dalla Corte di Appello di Palermo che, in riforma della decisione del Tribunale di Agrigento, annullava il licenziamento intimato al direttore d'azienda dall'amministratore giudiziario, ordinandone la reintegrazione e la corresponsione dell'indennità risarcitoria.
A sostegno della propria decisione, i giudici di secondo grado valorizzavano la necessità dei requisiti richiesti dall'art. 35 del codice antimafia ai fini dell'applicazione dell'art. 56 della medesima normativa.
La società, ricorrendo in Cassazione, censurava la sentenza d'appello per la violazione ed errata applicazione degli articoli 56 e 35 del codice antimafia , sostenendo come la Corte territoriale avesse erroneamente condizionato la legittimità del licenziamento alla sussistenza delle condizioni soggettive di cui all'art. 35, estendendo indebitamente l'ambito applicativo di tali cause di incompatibilità, che la normativa riserva esclusivamente alla nomina dell'amministratore giudiziario e dei suoi collaboratori.
La Cassazione condivide la censura rilevata.
Gli Ermellini ricordano che l'art. 35 comma 3 del d.lgs. 159/2011 disciplina esclusivamente le incompatibilità per la nomina dell'amministratore giudiziario e dei suoi collaboratori ("coadiutore o diretto collaboratore dell'amministratore giudiziario nell'attività di gestione") stabilendo che non possono essere nominati soggetti direttamente o indirettamente interessati alla gestione del patrimonio sequestrato, al fine di evitare conflitti di interesse e garantire l'imparzialità dell'amministrazione giudiziaria.
Tale previsione normativa non riguarda il personale dipendente dell'impresa sequestrata, il cui rapporto di lavoro resta regolato dalla disciplina generale del codice delle leggi antimafia, con specifico riferimento all'art. 56, che detta le regole per la prosecuzione o risoluzione dei rapporti pendenti.
L'amministratore giudiziario ha il potere di risolvere il rapporto di lavoro su autorizzazione del giudice, senza dover seguire le garanzie procedimentali proprie del licenziamento disciplinare, purché la decisione sia adeguatamente motivata con il richiamo alla misura adottata dall'autorità giudiziaria.
Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che in materia di sequestro di prevenzione delle aziende, la disciplina del codice antimafia è improntata alla salvaguardia dell'ordine pubblico e alla funzionale destinazione dell'azienda all'esercizio dell'impresa. A tal fine, l'amministratore giudiziario è tenuto a provvedere alla custodia, alla conservazione e all'amministrazione dei beni sequestrati, potendo procedere alla risoluzione dei rapporti di lavoro in forza della previsione dell'art. 56 del citato decreto, senza che trovino applicazione le garanzie proprie del licenziamento disciplinare, essendo tuttavia necessario che la risoluzione del rapporto contenga la specificazione dei motivi di recesso, in quanto principio generale in materia di licenziamenti.
Con specifico riferimento al caso di specie, l'amministratore giudiziario aveva motivato il licenziamento con riferimento al provvedimento di sequestro che aveva attinto l'azienda, alla posizione di persona sottoposta a indagini del lavoratore, al suo ruolo di direttore tecnico e quindi alla possibilità che la sua permanenza in azienda pregiudicasse la gestione della stessa nel contesto della misura di prevenzione.
La Cassazione evidenzia come tale motivazione è sufficiente a giustificare il licenziamento, sicché accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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