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Con la sentenza n. 8628 dello scorso 3 marzo, la VI sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato la condanna per oltraggio a pubblico ufficiale, minacce e percosse inflitta ad un ragazzo per aver aggredito un medico che, nel visitare la madre, utilizzava una frase sconveniente verso l'anziana donna.
La Cassazione ha, difatti escluso che la condotta tenuta dalla persona offesa potesse essere inquadrata nell'ambito degli atti arbitrari, ai fini dell'applicazione dell'esimente di cui all'art. 393 bis c.p. ritenendo che la pur non professionale espressione utilizzata dal medico non fosse comunque connotata da profili di così marcata inurbanità e sconvenienza da poter dare causa alla reazione del ricorrente.
Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Macerata riconosceva un ragazzo colpevole del reato di cui agli artt. 341 bis, 581 e 612 c.p., commessi in danno di un medico che stava visitando la madre, in quanto lo aveva minacciato e percosso in un crescendo di intensità e pericolosità dopo che il sanitario, nel corso della visita, aveva utilizzato una frase sconveniente verso la madre.
La Corte di appello di Ancona confermava la condanna, escludendo che nella condotta della persona offesa potessero ravvisarsi gli estremi di atti arbitrari o di una provocazione, giuridicamente rilevante.
In particolare, i giudici di secondo grado evidenziavano come, quandanche l'espressione utilizzata dal medico fosse stata sconveniente, nondimeno la condotta dell'imputato era trasmodata in una reazione manifestamente sproporzionata, tale da esondare dai limiti di un collegamento eziologico e psicologico con il fatto altrui, a tal fine non potendosi aver riguardo alle sole espressioni oltraggiose, ma dovendosi considerare l'intera condotta, connotata da minacce e percosse.
Ricorrendo in Cassazione, l'imputato censurava la decisione evidenziando violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento degli atti arbitrari di cui all'art. 393 bis c.p..
Secondo la difesa del ragazzo, la Corte aveva erroneamente ritenuto che l'espressione del medico, pur reputata non professionale, non costituisse atto arbitrario tale da scriminare la condotta; così, a fronte del dovere del medico di prendersi cura dei pazienti e di indirizzarli verso visite specialistiche opportune, prescrivendo terapie di supporto, la Corte non aveva valutato l'oggettiva sconvenienza e illegittimità della condotta della persona offesa rispetto al fine cui le funzioni avrebbero dovuto indirizzarsi.
La Cassazione non condivide le doglianze formulate ed esclude che la condotta tenuta dalla persona offesa possa essere inquadrata nell'ambito degli atti arbitrari, ai fini dell'applicazione dell'esimente di cui all'art. 393 bis c.p.
Gli Ermellini ricordano che, ai fini dell'applicazione dell'esimente di cui all'art. 393 bis c.p., devono valutarsi l'eccesso e l'arbitrarietà, presi in considerazione dall'articolo codicistico, in modo da ricomprendere non solo atti illegittimi e pervicacemente provocatori, ma anche atti eccedenti dalle attribuzioni perché connotati da difetto di congruenza tra modalità e finalità per le quali è attribuita la funzione, in ragione della violazione di elementari doveri di correttezza e civiltà.
In particolare, deve aversi riguardo a condotte immediatamente motivanti, ma non possono prendersi in considerazione profili inerenti ad una solo assertivamente dedotta colpa del medico nell'approccio diagnostico.
In relazione al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come i giudici di merito abbiano correttamente rilevato che la pur non professionale espressione utilizzata dal medico non fosse comunque connotata da profili di così marcata inurbanità e sconvenienza da poter essere qualificata come illegittima e comunque arbitraria nel senso indicato e da poter dare causa alla reazione del ricorrente.
In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso.
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