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Consenso informato e risarcimento del danno consequenziale

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L'art. 1 della l. n. 219/2017, entrata in vigore il 31 gennaio 2018, intitolato "Consenso informato", codificando principi ormai da tempo cristallizzati nella giurisprudenza costituzionale e di legittimità, ha espressamente sancito che ''nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata''.

Affinché la prestazione medico-sanitaria si configuri come lecita e legittima è, dunque, necessario che la stessa venga preceduta da un valido consenso al trattamento espresso dal soggetto che ne è destinatario. La stessa norma, al primo comma, muove dal corretto inquadramento del diritto all'autodeterminazione della persona, diverso dal diritto alla salute, parimenti annoverabile tra i diritti fondamentali tutelati dagli artt. 2, 13 e 32 Cost. e dagli artt. 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.

La Corte costituzionale, con la sent. n. 438/2008, nel qualificare il diritto all'autodeterminazione quale diritto fondamentale della persona del quale il consenso informato nella materia sanitaria è principale espressione, aveva chiarito che la veicolazione di tutte le informazioni sulla natura dell'intervento è attività finalizzata al contemperamento della c.d. asimmetria informativa che caratterizza il rapporto tra il fruitore della prestazione e il debitore della stessa, titolare di una cultura e di nozioni tecniche di tipo specialistico che il primo di norma non possiede. 

In sostanza, la Cassazione scevera il diritto alla salute da quello all'autodeterminazione del paziente, ed individua il presupposto della risarcibilità del pregiudizio conseguente alla lesione del primo nell'accertamento che l'intervento sarebbe stato rifiutato se il paziente stesso – sul quale grava il relativo onere probatorio – fosse stato adeguatamente informato dei possibili rischi e posto, quindi, in condizione di esprimere un valido consenso.

La violazione del secondo (diritto all'autodeterminazione), invece, potrebbe dar luogo a risarcimento in tanto in quanto le conseguenze dannose di natura non patrimoniale, costituite non solo dal turbamento e dalla sofferenza patiti, ma anche dagli ipotetici pregiudizi che il paziente avrebbe alternativamente preferito sopportare nell'ambito di scelte che solo a lui è dato di compiere ,siano di apprezzabile gravità. 

La responsabilità del sanitario per violazione dell'obbligo del consenso informato discende dalla tenuta della condotta omissiva di adempimento dell'obbligo di informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente venga sottoposto e dalla successiva verificazione, in conseguenza dell'esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con essa, di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente, con la conseguenza che il danno costituito dal peggioramento della salute e dell'integrità fisica del paziente andrebbe integralmente risarcito a prescindere dalla constatazione che il trattamento sia stato effettuato correttamente oppure no.

La chiave di volta di siffatto revirement viene individuata nella ponderazione del collegamento eziologico tra la condotta (omissiva, per difetto di informazione) del sanitario e le conseguenze pregiudizievoli che possano dirsi da essa derivate, profilo che  non risulterebbe sino ad oggi «scrutinato ex professo».

La sentenza, di sicuro interesse per la portata innovativa dei princìpi enucleati, si caratterizza per l'intento dichiaratamente ricostruttivo dell'argomento in parola. Residuano talune perplessità giacché, come si tenterà di illustrare nel prosieguo, la soluzione cui la Corte perviene non sembra conciliare in maniera del tutto convincente la tassativa dicotomia salute-autodeterminazione, su cui si fonda il percorso argomentativo tracciato, con la pur affermata consapevolezza dell'unitarietà del rapporto medico-paziente. 

Nella necessaria prospettiva della ''personalizzazione'', il consenso deve rispondere alla volontà del paziente ancorché sia prescritto l'ordine formale di documentazione scritta, ovvero attraverso l'utilizzo della videoregistrazione. Il legislatore non ha richiesto che il consenso debba necessariamente essere formulato per l'iscritto, fatta salva la possibilità per le persone con disabilità di optare per altri strumenti. Non è sufficiente la compilazione e la sottoscrizione di meri moduli contenenti dettagliate indicazioni, ma le informazioni fornite al minore o all'incapace devono essere modulate avendo riguardo alle condizioni soggettive del paziente, ovvero all'età e al livello culturale e alle condizioni psicologiche del momento.

 

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