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PMA e diritto della donna a farvi ricorso se l’ex partner non è d’accordo.

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 Il Tribunale di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale con riferimento all'art. 6 comma 3 della legge 40/04 relativo alla irrevocabilità del consenso alla PMA dopo la fecondazione dell'ovocita.

La questione riguarda il diritto della donna separata o divorziata che aveva precedentemente effettuato un percorso di procreazione medicalmente assistita e che dopo la fine della relazione vuole utilizzare gli embrioni sovrannumerari residuati, per tentare una nuova gravidanza e ciò contro la volontà dell'ex partner.
La giurisprudenza di merito a partire dal 2020 con la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dal gennaio 2021 ha in maniera costante riconosciuto tale diritto, alla donna che potrebbe dunque procedere anche contro la volontà dell'ex partner al transfer, obbligando lo stesso ad assumere tutti gli obblighi (morali ed economici) nei confronti del figlio nato anche a distanza di anni.

Il Tribunale di Roma ha sollevato la questione della norma art. 6 co. 3 della legge 40/04 che riguarda l'irrevocabilità del consenso prestato.

Ci si chiede se sia giusto che, anche dopo la fine di una relazione e del comune progetto genitoriale, si possa anche a distanza di molto tempo,  procedere all'utilizzo di tali embrioni addirittura obbligando l'ex partner che non sia d'accordo,  ad assumere i relativi obblighi genitoriali; orbene per alcuni a questo punto per non discriminare l'uomo, dovrebbe allora essere possibile anche per l'uomo utilizzare l'embrione attraverso la madre surrogata o la nuova compagna.

Ed ancora se in tutti i trattamenti sanitari il consenso è liberamente revocabile da parte dell'interessato, non si vede perché in questo caso non dovrebbe esserlo, con la conseguenza di affermare un consenso ad effetti perpetui e dalle conseguenze giuridiche incalcolabili .

L'art. 6 c. 3 u.c. che prevede l'irrevocabilità del consenso dopo la fecondazione dell'ovocita, costituiva una disposizione che si inseriva in un corpus normativo la cui ratio era evidentemente quella di assicurare una tutela prevalente del diritto alla vita e allo sviluppo dell'ovocita fecondato.

Tali disposizioni, come è noto , sono state oggetto di declaratoria di incostituzionalità da parte della Consulta che ha ritenuto illegittimo il bilanciamento operato dalla legge 40/04 tra i vari diritti personalissimi implicati nella vicenda sulla base della nota e risalente massima del Giudice delle secondo la quale pur sussistendo una tutela costituzionale del concepito, secondo quanto può dedursi dagli artt. 31, secondo comma, e 2 della costituzione , detto interesse puo' venire in collisione con altri beni che godono pur essi di tutela costituzionale, cui spetta adeguata protezione.

 Ciò premesso e precisato, nel caso in esame attesa la distanza temporale intercorsa tra momento della prestazione del consenso al trattamento ed esecuzione dello stesso, non c'è chi non veda come il venir meno dell'unione da cui scaturiva il progetto genitoriale fa venir meno il presupposto logico- giuridico sul quale tale consenso si fondava assumendo validità ed efficacia.

Negare ciò, significherebbe obbligare due estranei a condividere un progetto genitoriale, in un contesto di fatto e diritto completamente diverso da quello originario, contro la propria volontà.

Ci si chiede se il nato dovrebbe essere considerato qualificato come legittimo o naturale? Il padre biologico sarebbe costretto ad assumere anche la paternità giuridica del nato o potrebbe decidere di rimare anonimo prestando solo il mantenimento? La madre potrebbe promuovere azione di accertamento giudiziale della paternità naturale? Quale incidenza sugli eventuali diritti successori?

Senza considerare l'evidente contraddizione rispetto al paradigma proposto dalla L. 40/04 che all'art 4 non consente la realizzazione di un progetto genitoriale fuori dalla coppia eterosessuale in età potenzialmente fertile escludendo la possibilità per il single di procedere alla PMA.

Vi è poi la questione dell'attualità del consenso e della sua piena revocabilità che oltre a costituire principio generale dell'ordinamento, non sussistendo trattamenti sanitari fuori dal TSO che risultino coercibili per legge (art 32 cost.; art 3 Carta diritti fondamentali UE, 2001; art 2,3 Convenzione di Oviedo , 1997) oggi espressamente disciplinato all'art. 1 della L. 2019/17 Norme su consenso informato e DAT che detta disposizioni generali in tema di consenso informato assicurando la piena revocabilità dello stesso in qualsiasi momento. D'altra parte la permanenza del consenso del soggetto in tutte le fasi del trattamento sanitario, è principio fondamentale del sistema.

Nel caso di specie il consenso alla realizzazione del progetto genitoriale mediante l'accesso alle tecniche di PMA, è di molti anni precedente.

Correttamente il Centro di PMA ha dunque richiesto che la coppia esprimesse ex novo il consenso al trattamento sanitario di PMA al fine di accertare la sussistenza delle condizioni che hanno dato avvio anni prima ad un trattamento sanitario poi interrotto per volontà di due soggetti, allora coppia che condivideva lo scopo di un progetto comune che oggi venuti meno i presupposti, non esiste più.

Risulta evidente che tale forzatura della donna configura un uso anormale del diritto, che conduce il comportamento del singolo (nel caso concreto) fuori della sfera del diritto soggettivo esercitato, per il fatto di porsi in contrasto con gli scopi etici e sociali per cui il diritto stesso veniva riconosciuto e protetto dall'ordinamento giuridico positivo. 

 Alla luce di quanto precede risultano sicuramente fondati i rilievi di costituzionalità sollevati dall'ordinanza.

In particolare ove nel caso di specie non venisse ritenuta possibile la revoca del consenso al trattamento di PMA risulterebbero violati i parametri costituzionali di cui agli artt. 2,3,13, 29 1 comma e 32; l'art 8 della Convenzione EDU e l'art 3 e 7 della Carta diritti fondamentali UE, disposizioni espressamente richiamabili ai sensi dell'art 10 Cost e disattesa la richiamata raccomandazione rivolta all'Italia di adeguamento delle limitazioni alla revocabilità del consenso come prevista dall'art 6 c 3 u.c. L. 40/04.

Più precisamente non c'è chi non veda come ove l'art 6 c 3 u.c. della legge 40/04 venisse interpretato nel senso di legittimare la pretesa di diventare genitore , riavviando un procedimento sanitario iniziato anni prima e poi per varie ragioni non coltivato fino ad oggi in una situazione di famiglia e relazione coniugale anche formalmente superata, contro la espressa volontà del partner, darebbe luogo alla aberrante prospettiva di una coercizione alla genitorialità tra soggetti divenuti formalmente e sostanzialmente estranei.

Parimenti dicasi riguardo alla conseguente violazione di fondamentali diritti della persona che sarebbe costretta a subire tutte le conseguenze di una genitorialità non voluta: grave limitazione della propria libertà personale con conseguente coartazione nelle decisioni attinenti la sfera più intima della propria vita personale e familiare; violazione del proprio diritto a costituire una famiglia; libertà di autodeterminazione riguardo a trattamenti sanitari sempre e comunque revocabili in violazione del consenso informato inteso come sintesi dei diritti fondamentali alla libertà personale e alla salute ( Sent Corte Cost 438/2008).

La recente decisione del Comitato per i Diritti sociali ed economici dell'ONU, che ha condannato l'Italia per la presenza di una normativa che impone illegittime restrizioni alla libertà "di ritirare il proprio consenso al trasferimento di embrioni per la procreazione", nel confermare gli assunti della recente normativa e della giurisprudenza costituzionale e di legittimità in materia pare risultare in linea con quanto sostenuto.


 

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