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Ci sono momenti, nella vita di ognuno di noi, in cui i ricordi ritornano con chiarezza cristallina.
Ricordi di Amici, che ci hanno lasciati. E che ci inducono alla rilettura di alcune loro opere.
Giovanni "Nino" Borioli, professore di italiano e scrittore, Amico, fin dei miei primi anni di insegnamento in Canton Ticino.
"Tra nascere e morire, trafile dentro e fuori gli ospedali. Prima o poi, quando ti tocca, tocca. Camera 609, la numero nove al sesto piano del Civico (di Lugano/Svizzera n.d.r.). Reparto chirurgia. Ritocca così a quel Nino, il lunedì della settimana a cavallo tra carnevale e quaresima. L'entrata di primo mattino, digiuno. Doveva nevicare, ma sconfessate sono le previsioni. A volo d'angelo sul sottostante Molino Nuovo dal finestrone a tutta parete del sesto piano. Fantasmatico palazzo UBS soffocatore del Sole (…) giocavano a calcio su quel terreno giovani calciatori luganesi negli anni Trenta). […] Osservatorio del Civico, passo intermedio per altro cambio, ascensore di un altrove qualche po' di avvicinamento? Distanze da mantenere fintanto che si riesce a rivedersi spettatori, estatici fanciulli davanti alle vetrine del Franz Carl Weber, miniaturizzata scenografia da bottega dei giocattoli", (Giovanni Borioli, "I giorni della margherita", Armando Dado' editore, Locarno, 1999).
Davide Maria Turoldo, straordinario poeta, sacerdote, partigiano durante il Secondo conflitto mondiale. Sempre a Lugano, alla Biblioteca "Salita dei Frati", ho ascoltato con disincanto le sue memorabili conferenze.
"Ho pochi giorni ancora, poi devo rientrare in ospedale. Sarà quello che sarà. Attendono altri accertamenti; ma io attendo Lei, meglio attendo Lui. Vorrei che fosse un incontro tra vecchi amici, amici che non si vedono da molto, moltissimo tempo. E pure hanno sempre desiderato di abbracciarsi, contando gli anni, e le stagioni, e i giorni… Meglio: a essere più rigorosi, non è esatto parlare di incontro tra conoscenti. Di amicizia sì, anche se sembra paradossale; di desiderio di vederci sì, ma non di rivederci. Perchè il suo volto io ho cercato fra tutti i volti e mai che sia stato certo di averlo individuato e scoperto. Il suo volto ho cercato con la mente e il cuore più infocati, mai che sia riuscito a dargli una figura e un'immagine sicura", David Maria Turoldo, "Il Dramma è Dio", Fabbri Editori, Milano,1997.
Mario Gori, siciliano, vicino di casa, poeta, grande affabulatore che arricchiva la nostra giovinezza usando l'endecasillabo anche quando parlava.
"Mi giace dentro quel ragazzo ansioso che attendeva gl'incanti della vita rannicchiato in un angolo a sognare miracoli. E' caduta ogni illusione ed un baratro è apparso. Chi mi grida dietro le orecchie? Avevo un giorno il sole sopra le mani ed ora uccelli neri svolazzano sul pino dietro i vetri della finestra. C'era un morto qui nel mio letto, è rimasto nella macchia del soffitto. E' una macchia forse l'anima che ci lascia spegnendoci la luce nelle pupille bianche della morte?" (Mario Gori, "Ospedale di Enna" in "Taccuino delle ore perdute", Colombo Cursi Editore, Pisa, 1980).
Tre uomini, tre poeti, tre vite che con chiara coscienza intravedono, da tre camere di diversi ospedali, l'avvicinarsi di un incontro al quale ognuno, prima o poi, quando ci "tocca", dovrà presentarsi e a cui non potrà sfuggire
Esistono diverse chiavi di lettura davanti ad un testo. Chiavi di lettura, sicuramente arbitrarie, come arbitrarie sono i nostri tentativi di andare "oltre la pagina" di questi tre Poeti, ultimi doni che ci lasciano, che fanno seguito a tanti altri doni affidati a loro letture precedenti.
Ed ora, giunti al capolinea, Borioli, Turoldo e Gori si pongono domande sulle loro scelte e sul desiderio, "curiosità" direbbe Sciascia, di intravvedere "cosa e chi" li attende, oltre "il muro d'ombra" direbbe Ungaretti, ma con fede. Grande è stata l'attesa di questo appuntamento i cui contorni non sono certi e ben definiti, non di immediata e facile lettura, ma descritti da tutti e tre con il linguaggio lirico di una scrittura chiara, con serenità d'animo. Serenità d'animo tipica di quei "giovani calciatori" di Borioli o di "quel ragazzo ansioso" di Gori o di quei "vecchi amici" di Turoldo.
Rileggendo questi 16 racconti di Giovanni "Nino" Borioli troviamo quel disincanto davanti agli eventi della vita che "il Nino" trasmetteva agli amici ogni qualvolta raccontava con piglio professorale e con l'animo di un bambino. Perchè racconti erano – e sono – gli avvenimenti di cui era stato testimone o partecipe. Quel disincanto che riusciva a trasmettere anche quando ci si trovava, ammutoliti ed attoniti, davanti a fatti della vita tristi e dolorosi.
Questi racconti racchiudono le scelte culturali, politiche, sociali, umanitarie… di un Uomo che ha vissuto intensamente, che non si è sottratto alle sue responsabilità, che ha saputo fare le sue scelte con dignità con grande coerenza, che ha saputo gioire e soffrire davanti agli eventi incontrollabili dell'esistenza umana.
"Come si vive si muore. (E dire che i piccoli non capiscono! Ma sono poi loro che meglio ricordano e riprendono. Pestalozzianamente). Così la raccontava al Nino fanciullo e ai suoi compagni delle terza elementare del Molino Nuovo il maestro Edoardo Marioni" (Socrate condannato a morte" pag.123). Così le racconta a noi il Nino che mai ha smesso di guardare nelle pieghe del passato per avere memoria del presente e del futuro.
"Mascherare non serve però queste arterie del degrado ambientale: tanto al Parco Ciani abbattono inesorabilmente piante ormai nere, svilite di umori vitali" ("Camera 609" pag. 17). Una riflessione sul degrado ambientale. Una sofferenza per la scomparsa di quel mondo a misura d'uomo sacrificato a quel dio economicistico in nome del quale tutto è possibile. E a nulla sono valse le battaglie luganesi per mantenere un volto decorosamente dignitoso a questa città che della frenesia ha fatto scelta di vita. Ma Borioli sa come consolarsi, anche se si tratta di consolazioni dal sopore agrodolce: "Bicicletta, poesia della vita di altri tempi. Qualità di un mondo dove probabilmente era più connaturale trovare una maggiore fedeltà a se stessi , per ritmi più pacati" ("La dama bianca", pag.27). Chi ricorda le battaglie civili per salvare il "Venezia"? O per salvaguardare le strutture originali dell'area del Parco Ciani sottratta dal Palazzo dei Congressi? Solo per fare qualche piccolo esempio!
E "il Nino" ha accumulato esperienze ed immagini, amori e dolori, ricordi vivi e non offuscati dal tempo ed ora ce li propone, affinchè rimanga viva la memoria di questo suo bagaglio, di questo suo tesoro, frutto di dolorose meditazioni, di questo suo mondo così ricco di calda umanità, che "il Nino" ha saputo narrare con i suoi versi in prosa, come Turoldo e Gori, come i poeti autentici che riescono, narrando fatti, apparentementeprivati, a coinvolgere in prima persona il lettore, a farci riconoscere in quei fatti e in quelle scelte: fatte o mancate.
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Rosario Antonio Rizzo
Dopo il conseguimento del diploma di insegnante di scuola elementare all’Istituto magistrale “Giuseppe Mazzini” di Vittoria, 1962, si reca in Svizzera, dove insegna, dal 1964 al 1975, in una scuola elementare del Canton Ticino.
Dal 1975 al 1999 insegna in una scuola media, sempre nel Canton Ticino e, in corso di insegnamento dal 1975 al 1977 presso l’Università di Pavia, acquisisce un titolo svizzero, “Maestro di scuola maggiore” per l’insegnamento alla scuola media. Vive tra Niscemi e il Canton Ticino. Ha collaborato a: “Libera Stampa”, quotidiano del Partito socialista ticinese; “Verifiche” bimensile ticinese di scuola cultura e società”; “Avvenire dei lavoratori”; “Storia della Svizzera per l’emigrazione”“Edilizia svizzera”. In Italia: “Critica sociale”; “Avanti”; Annali” del Centro Studi Feliciano Rossitto; “Pagine del Sud”; “Colapesce”; “Archivio Nisseno”.