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Le intercettazioni permettono di conoscere e acquisire copia di uno scambio di comunicazioni fra due o più persone. Esse sono annoverate tra i mezzi di ricerca della prova dal codice di procedura penale e vengono disposte dal pubblico ministero su autorizzazione del GIP.
Secondo quanto previsto dal settimo comma dell'art. 268 del codice di procedura penale, i risultati delle registrazioni devono, però, a pena di inutilizzabilità, essere trascritti integralmente, osservando le forme, i modi e le garanzie previsti per l'espletamento delle perizie.
I c.d. brogliacci contengono, invece, una sintesi delle conversazioni intercettate trascritte dalla polizia giudiziaria e, nel processo penale, non possono perciò essere utilizzati.
Con la sentenza n. 109 del 3 gennaio 2024, la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha ribadito la piena utilizzabilità nel procedimento disciplinare dei brogliacci delle intercettazioni disposte nell'ambito di un procedimento penale, affermando il valore probatorio dei verbali delle intercettazione nel processo del lavoro e precisando, altresì, che nel caso delle intercettazioni oggetto della prova sono le bobine ed i verbali e che la trascrizione si esaurisce in una serie di operazioni di carattere meramente materiale, non implicanti l'acquisizione di alcun contributo tecnico-scientifico.
Il principio di massima.
I verbali di intercettazione nella forma del c.d. "brogliaccio" possono essere utilizzati come unica prova del licenziamento, anche se non trascritti nella forma della perizia.
Invero, nell'accertamento della sussistenza di determinati fatti e della loro idoneità a costituire giusta causa di licenziamento, il giudice del lavoro può fondare il suo convincimento sugli atti assunti nel corso delle indagini preliminari, anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento, giacché la parte può sempre contestare, nell'ambito del giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale.
Non si può, dunque, sostenere che l'assenza di trascrizione delle intercettazioni priverebbe queste ultime di ogni efficacia probatoria, anche perché la prova è costituita dalle bobine e dai verbali, mentre la trascrizione si esaurisce in una serie di operazioni di carattere meramente materiale, non implicando l'acquisizione di alcun contributo tecnico-scientifico.
Corte di Cassazione, sez. lavoro, sentenza del 3 gennaio 2024, n. 109.
Il caso.
La dipendente di una banca era stata licenziata per giusta causa all'esito di un procedimento disciplinare in cui le venivano contestati una serie di addebiti, tra i quali e per quanto d'interesse in questa sede, l'avere, in violazione degli obblighi propri della funzione rivestita (direttrice di filiale) proposto ai clienti della banca finanziamenti erogati da soggetti terzi, adoperandosi al fine di consentire il buon fine delle operazioni di concessione di credito e fungendo da soggetto di riferimento delle trattative.
Alla contestazione si giungeva dopo che la Banca aveva ottenuto copia di alcuni verbali che riassumevano il contenuto di colloqui telefonici oggetto di intercettazione disposta nell'ambito di un procedimento penale a carico di altri dipendenti dell'istituto di credito.
La Corte d'appello, accertata la fondatezza degli addebiti contestati, riteneva giustificato il licenziamento dichiarando la piena utilizzabilità ai fini della decisione della documentazione inerente le intercettazioni estratte dal fascicolo penale e rigettando l'eccezione di tardività della contestazione sollevata dalla parte ricorrente.
Per la cassazione di tale sentenza faceva ricorso la lavoratrice denunciando, in particolare, la violazione e falsa applicazione delle norme in materia di onere e disponibilità della prova. A giudizio del ricorrente, la Corte territoriale aveva errato sia nel fondare il proprio convincimento sulle sole intercettazioni, sia nell'aver ritenuto utilizzabili i brogliacci.
La decisione della Cassazione.
La Cassazione, nel respingere la censura mossa dal ricorrente, ha ricordato anzitutto, come, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, giudice del lavoro, nell'accertamento della sussistenza di determinati fatti e della loro idoneità a costituire giusta causa di licenziamento, possa fondare il proprio convincimento sugli atti assunti nel corso delle indagini preliminari, anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento, poiché il lavoratore può sempre contestare nel giudizio civile i fatti così acquisiti in sede penale ed, inoltre, che, ai fini dell'utilizzabilità nel procedimento disciplinare delle intercettazioni telefoniche o ambientali effettuate in un procedimento penale, è sufficiente che queste siano state disposte nel rispetto delle norme costituzionali e procedimentali, rimanendo invece irrilevante a tal fine gli ulteriori limiti previsti dall'art. 270 del codice di procedura penale, sull'utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni disposte in altro procedimento penale, in quanto tali stringenti limitazioni in ordine all'acquisizione della prova, derogando al principio fondamentale della ricerca della verità materiale, devono circoscriversi al solo ambito penalistico.
La Suprema Corte ha reputato poi irrilevante l'ulteriore circostanza dedotta dal ricorrente nella memoria conclusiva e relativa alla mancata trascrizione nelle forme della perizia delle intercettazioni utilizzate ai fini della decisione.
Secondo il giudice di legittimità, infatti, l'assenza di trascrizione delle intercettazioni non priva queste ultime di ogni efficacia probatoria, perché nelle intercettazioni la prova vera e propria è costituita dalle bobine e dai verbali, mentre la trascrizione si esaurisce in una serie di operazioni di carattere meramente materiale, che non implicano, dunque, l'acquisizione di alcun contributo tecnico-scientifico.
Con tali argomentazioni, ritenendo infondati anche gli ulteriori motivi dedotti dal ricorrente, la Corte di Cassazione ha dunque rigettato il ricorso e definitivamente confermato la legittimità del licenziamento irrogato per giusta causa.
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Paola Mastrantonio, avvocato; amante della libertà, della musica e dei libri. Pensiero autonomo è la mia parola d'ordine, indipendenza la sintesi del mio stile di vita. Laureata in giurisprudenza nel 1997, ho inizialmente intrapreso la strada dell'insegnamento, finché, nel 2003 ho deciso di iscrivermi all'albo degli avvocati. Mi occupo prevalentemente di diritto penale. Mi sono cimentata in numerose note a sentenza, pubblicate su riviste professionali e specializzate. In una sua poesia Neruda ha scritto che muore lentamente chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno. Io sono pienamente d'accordo con lui.