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Avvocati. Doppia affermazione di responsabilità penale e disciplinare e principio del ne bis in idem

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Fonte: https://www.consiglionazionaleforense.it/

Con sentenza n.26 del 23 febbraio 2023, il Consiglio Nazionale Forense ha affermato la conformità ai principi della convenzione CEDU e al principio del ne bis in idem della doppia affermazione di responsabilità, in sede penale ed disciplinare per l'identico fatto. Ciò in quanto diversi sono la natura ed i fini del processo penale e del procedimento disciplinare, laddove quest'ultimo tutela l'immagine della categoria, quale risultato della reputazione dei suoi singoli appartenenti.

I fatti del procedimento

Nel caso sottoposto all'attenzione del Consiglio Nazionale Forense l'avvocato ricorrente è stato condannato, insieme ad altro collega, alla pena della reclusione con diverse sentenze di patteggiamento per una serie di ipotesi delittuose concernenti. Tali sentenze penali hanno accertato che le condotte poste in essere dagli incolpati facevano parte di un unico e articolato disegno illecito di tipo corruttivo avente come scopo lo stravolgimento della funzione giudiziaria, piegata agli interessi personali degli incolpati. Tra l'altro queste fattispecie delittuose, che hanno avuto ad oggetto la compravendita di atti giudiziari, sono state commesse con il coinvolgimento di importantissime cariche istituzionali. Ed hanno avuto un clamore mediatico tale da arrecare un danno all'immagine ed alla dignità dell'intera classe forense.

L'avvocato è stato quindi sottoposto a procedimento disciplinare, al termine del quale il CDD ritenendo la sussistenza dei fatti oggetto dell'imputazione e la loro attribuibilità al ricorrente, ha applicato nei confronti dell'incolpato la sanzione della radiazione dall'albo professionale. 

L'incolpato ha impugnato la decisione dinanzi al Consiglio Nazionale Forense eccependo in particolare la violazione "del principio di proporzionalità e adeguatezza della sanzione" sotto due differenti aspetti. Infatti a parere del ricorrente il CDD:

  1. nell'irrogare la sanzione massima, non avrebbe attribuito valore alla circostanze attenuante riconosciuta in sede penale ex art. 323-bis "attestante l'indiscutibile collaborazione con la giustizia";
  2. applicando la sanzione della radiazione, avrebbe violato il principio del ne bis in idem dal momento che la risposta disciplinare avrebbe dovuto rispettare "il criterio della proporzione afflittiva tra cumulo sanzionatorio e fatti commessi".

La decisione del Consiglio Nazionale Forense

Sul punto la Suprema Corte ha rilevato che i comportamenti tenuti dal ricorrente hanno avuto un così ampio eco mediatico e suscitato allarme sociale da ledere l'immagine e la dignità dell'intera classe forense, oltre ad essere totalmente in contrasto con il giuramento e l'impegno solenne di cui all'art. 8 L. n. 247/2012.

Tutto questo rende "incompatibile la permanenza dell'incolpato nell'albo" indipendentemente dal comportamento più o meno collaborativo tenuto in sede penale e di qualsiasi bilanciamento tra sanzione penale e sanzione deontologica.

Tra l'altro la Corte ha evidenziato che i fatti accertati nelle sentenze di patteggiamento e dalla sentenza della Cassazione costituiscono evidente violazione del canone deontologico di cui all'art. 9 C.D., avendo il ricorrente commesso atti di corruzione in concorso con magistrati ed appartenenti ad uffici giudiziari, svolgendo il ruolo di intermediario, ricevendo somme da destinarsi ai predetti pubblici ufficiali affinché violassero i loro doveri di imparzialità, concorrendo nella redazione di verbali di interrogatori e di sommarie informazioni falsi materialmente ed ideologicamente, corrompendo consulenti tecnici della Procura e consiglieri della Corte di Giustizia amministrativa per ottenere decisioni favorevoli nonché politici. 

Risulta evidente che il comportamento dell'avvocato, condannato con sentenza penale definitiva per condotte corruttive tanto gravi da ledere l'immagine e la dignità dell'intera classe forense, non può che portare all'applicazione della sanzione disciplinare più grave per l'assoluta violazione dei principi di lealtà, probità, dignità, decoro e diligenza.

Tra l'altro a nulla vale il richiamo al principio del ne bis in idem la cui violazione è esclusa nell'ipotesi di cumulo tra sanzioni penali e sanzioni deontologiche. Infatti sul punto il Consiglio ha ricordato la giurisprudenza di legittimità secondo la quale "La doppia affermazione di responsabilità, in sede penale ed amministrativa per l'identico fatto, è conforme ai principi della convenzione CEDU e non vìola il divieto di bis in idem, stante la diversa natura ed i diversi fini del processo penale e del procedimento disciplinare, nel quale ultimo il bene tutelato è l'immagine della categoria, quale risultato della reputazione dei suoi singoli appartenenti" (Corte di Cassazione SS.UU, sentenza n. 35462 del 19 novembre 2021; anche CNF, sentenza n. 206 del 9 novembre 2022).

Per questi motivi il Consiglio Nazionale Forense ha respinto il ricorso.  

 

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