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Pubblicità sui social network: imprescindibili i doveri di dignità e decoro e il divieto di accaparramento della clientela

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Fonte https://www.codicedeontologico-cnf.it/

Il Consiglio Nazionale Forense ha affrontato nuovamente la questione relativa alla pubblicità sui social da parte degli studi legali, la quale deve avvenire del rispetto dei doveri di dignità e decoro e del divieto di accaparramento della clientela(Consiglio Nazionale Forense sentenza n. 177 del 20 settembre 2023).

I fatti del procedimento disciplinare

In un post apparso sul profilo social di uno studio legale è stata offerta ai prossimi congiunti delle vittime e alle persone coinvolte in un incidente ferroviario un'assistenza altamente qualificata al fine di ottenere il giusto risarcimento dai responsabili dell'accaduto. Nel post è stato specificato che il pagamento di spese e compensi legali sarebbe avvenuto solo a risarcimento ottenuto e la valutazione preventiva del caso sarebbe stata senza oneri a carico.

La pubblicazione del post ha provocato una sdegnata reazione nel mondo forense tanto da far pervenire segnalazioni da parte di COA, Associazioni forensi, singoli avvocati ecc.

Gli avvocati dello studio legale sono stati, quindi, sottoposti a procedimento disciplinare e sono stati sanzionati dal CDD per violazione dei seguenti articoli:

  • l'art.9 comma 1 C.D.F. per aver posto in essere un comportamento contrario ai doveri di dignità e decoro;
  • l'art.17 comma 2 C.D.F. e art.35 comma 2 C.D.F. per aver diffuso pubblicamente sul profilo social dello Studio Legale informazioni suggestive, da identificarsi nella capacità di fornire assistenza altamente qualificata, nel pagamento dei compensi solo a risarcimento ottenuto e nella valutazione preventiva senza oneri né anticipazioni;
  • l'art.37 comma 1 e comma 5 C.D.F. proponendosi di acquisire rapporti di clientela con modalità non conformi al decoro della professione, approfittando di eventi che hanno causato la morte di tre persone ed il ferimento di altre decine e offrendo senza esserne richiesto una prestazione personalizzata.

Gli incolpati hanno impugnato la decisione del CDD contestando la sussistenza delle violazioni addebitate. 

La decisione del Consiglio Nazionale Forense

Dall'analisi del post pubblicato sul profilo social dello Studio legale, il Consiglio ha ravvisato che sussistono gli elementi integranti le violazioni di cui ai capi di imputazione.

In primo luogo è stata ravvisata la violazione del divieto di accaparramento della clientela di cui all'art.37 comma 5 in quanto nel post pubblicato gli avvocati dello studio hanno offerto senza esserne richiesti né personalmente né con riferimento allo Studio Legale, una prestazione personalizzata, consistente nell'assistenza nella controversia risarcitoria relativa alle singole persone coinvolte, direttamente o indirettamente, nel disastro ferroviario.

Dal tenore del post si evince, infatti, che quella offerta non è stata una semplice informativa rivolta ad un pubblico indefinito, ma una prestazione rivolta a specifici soggetti, ossia le persone danneggiate, direttamente o indirettamente, dall'incidente ferroviario.

Inoltre la prestazione offerta concerne uno "specifico affare", espressamente individuato nel post nell'esperimento delle azioni risarcitorie nei confronti dei responsabili dell'accaduto. Sul punto la giurisprudenza ha più volte evidenziato che "è vietato offrire prestazioni professionali "personalizzate" non richieste, specie se sfruttano fatti tragici, tali per loro natura da alterare la capacità dell'utente di valutare l'offerta" (cfr. in tal senso CNF 25 febbraio 2020 n.38; CNF 5 dicembre 2019 n.141; Cass., SS.UU., 8 marzo 2022 n.7501);

Risulta altresì violato il divieto di dare informazioni comparative con altri professionisti, equivoche, ingannevoli, denigratorie, suggestive ex art.35 comma 2 CDF. Il messaggio postato, infatti, appare suggestivo, in quanto mira a suscitare una reazione emozionale nelle vittime del disastro ferroviario e nei loro congiunti nella parte in cui viene assicurata dallo Studio Legale una assistenza «altamente qualificata» per far loro «ottenere il giusto risarcimento dai responsabili dell'accaduto» e dietro pagamento dei compensi solo a risultato ottenuto e senza anticipare alcun esborso. 

 Il Consiglio ha poi posto l'attenzione anche sulla violazione dei doveri di dignità e decoro. Come volte affermato in giurisprudenza «L'informazione sull'attività professionale, ai sensi degli artt. 17 e 35 codice deontologico deve essere rispettosa della dignità e del decoro professionale e quindi di tipo semplicemente conoscitivo, ...., ma non deve essere mai né comparativa né autocelebrativa» (CNF 15 aprile 2021 n. 75). Nel caso di specie, invece, la stessa espressione utilizzata «altamente qualificata» risulta autoelogiativa e indirettamente comparativa e anche "il contesto temporale (strettissima prossimità rispetto al tragico evento della pubblicazione del post) nonché il copia-incolla dell'articolo tratto dal quotidiano online con relativo video unito alla geolocalizzazione del luogo dell'incidente, contribuiscono a convincere nel senso che il messaggio in questione travalica i limiti posti dai principi di dignità e decoro ai sensi degli artt. 17 e 35 codice deontologico".

Infine risulta violato il divieto di acquisizione di rapporti di clientela con modi non conformi a correttezza e decoro di cui all'art.37 comma 1 CDF. A questo riguardo il Consiglio ha ricordato che costituisce illecito deontologico il comportamento dell'avvocato che,

  1. «al fine di acquisire potenziali clienti, "pubblicizzi" il proprio studio legale mediante l'offerta di assistenza legale a "zero spese di anticipo", trattandosi di informazione non ispirata al rispetto dei doveri di dignità e decoro e comunque contraria alle prescrizioni normative (artt. 17 e 35 cdf), anche in violazione del divieto di accaparramento di clientela (art. 37 cdf)» (CNF 13 maggio 2022 n. 65; in senso conforme, CNF 23 aprile 2019 n. 23);
  2. «al fine di ricavarne una possibile notorietà, offra assistenza legale gratuita alle parti di un fatto di cronaca di grande clamore mediatico» (CNF 30 dicembre 2016 n. 390).

Sulla base di queste argomentazioni giuridiche e giurisprudenziali il Consiglio Nazionale Forense ha sanzionato gli incolpati con la sospensione dall'esercizio della professione per due mesi.

 

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