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Avvocati. Il principio della translatio iudici nel procedimento disciplinare

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Fonte: https://www.codicedeontologico-cnf.it/

Con sentenza n.65 del 13 marzo 2024 il Consiglio Nazionale Forense ha affermato anche con riferimento al procedimento disciplinare il principio secondo il quale "la translatio iudicii non sana eventuali vizi o decadenze maturati dinanzi al giudice dotato di giurisdizione, rimanendo ferme le eventuali preclusioni e le decadenze medio tempore intervenute (art.11, comma 2, c.p.c.), in quanto, affinché l'effetto conservativo della translatio possa operare, la domanda originaria deve essere stata tempestivamente proposta di fronte al giudice poi dichiaratosi (o dichiarato ex art.41 c.p.c.) privo di giurisdizione; in caso contrario, l'istituto determinerebbe l'illogica e abnorme conseguenza di rendere vane le regole che presiedono al diritto di azione e/o di impugnazione, e finirebbe per comportare un'indiscriminata e immotivata rimessione in termini."

I fatti del procedimento

Il ricorrente, dopo essere stato radiato dall'Albo con decisione del COA, confermata con sentenza del Consiglio Nazionale Forense, ha presentato richiesta di reiscrizione al COA per avvenuto decorso del termine di cinque anni di cui all'art.62, comma 10, Legge professionale n. 247 del 2012 che consente al professionista radiato di chiedere nuovamente l'iscrizione, decorsi cinque anni dall'esecutività del provvedimento, ma "non oltre un anno successivamente alla scadenza di tale termine". Il COA ha dichiarato l'inammissibilità della richiesta rilevandone la tardività in quanto al momento della presentazione dell'istanza di reiscrizione, il termine di decadenza era già scaduto.

Il ricorrente ha impugnato la delibera di rigetto dell'istanza di reiscrizione dinanzi al TAR, il quale ha dichiarato inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione sul provvedimento impugnato ed ha indicato quale autorità competente il Consiglio Nazionale Forense, dinanzi al quale il ricorso poteva essere riassunto ai sensi e per gli effetti di cui all'art.11 c.p.a. 

 Conseguentemente il ricorrente ha provveduto a riassumere dinanzi al Consiglio Nazionale Forense il giudizio interposto dinanzi al TAR, chiedendo di riformare il provvedimento del COA d'inammissibilità ed accogliere l'istanza di reiscrizione, dopo essere stato rimesso in termini in ordine alla tempestività della proposta impugnazione.

La decisione del Consiglio Nazionale Forense

Il Consiglio Nazionale Forense ha ricordato quanto disposto dalla legge professionale secondo la quale i termini per presentare ricorso avverso i provvedimenti in materia di iscrizione albi, elenchi e registri sono:

  • 20 giorni per impugnare il rigetto dell'istanza di iscrizione (art. 17, comma 7, quarto periodo);
  • 10 giorni per impugnare l'inerzia del COA che non abbia provveduto, decorso il termine di 30 giorni dalla presentazione della domanda (art. 17, comma 7, quinto periodo);
  • 60 giorni per impugnare la cancellazione dall'albo (art. 17, comma 14);
  • 30 giorni per impugnare il rigetto dell'istanza di reiscrizione (considerato il rinvio all'art. 61, disposto dall'art. 17, comma 18).

In base a questa disciplina, il procedimento di reiscrizione del professionista radiato dall'albo, ai sensi dell'art. 62, comma 10, della legge professionale, è disciplinato dall'art. 17 L. 247/2012, con la conseguenza che il rigetto della richiesta di reiscrizione può essere impugnato nel termine previsto per le impugnazioni delle decisioni disciplinari del CDD, ossia entro 30 giorni dal deposito ovvero dalla notifica della decisione.

 Nel caso di specie, invece, il ricorrente ha impugnato il provvedimento dinanzi al TAR oltre tale termine, anche se nei termini rispetto a quello decadenziale previsto dal c.p.a. di 60 giorni. Infatti consapevole di aver proposto impugnazione tardiva avverso la delibera del COA, il ricorrente in sede di riassunzione dinanzi al CNF ha formulato istanza di rimessione in termini, chiedendo al Consiglio Nazionale Forense di riconoscere la scusabilità dell'errore, rilevando che, seppure l'art.17, comma 7 della legge professionale preveda un termine di venti giorni per proporre ricorso avverso il diniego di iscrizione, sussisteva nella fattispecie un'obiettiva incertezza in ordine alla normativa applicabile e ciò avrebbe costituito il presupposto per il riconoscimento dell'errore scusabile.

A questo proposito il Consiglio Nazionale Forense ha osservato che il principio della translatio iudicii introdotto dall'art. 59 della legge n. 69/2009

  • mira ad evitare che le parti possano incorrere in preclusioni e decadenze a causa delle incertezze nell'individuazione del giudice fornito di giurisdizione;
  • comporta la salvezza degli effetti, sostanziali e processuali, della domanda avanzata innanzi al giudice sfornito di giurisdizione.

Tuttavia questa salvezza non può consentire l'elusione dei termini temporali posti, a pena di decadenza, a tutela delle posizioni giuridicamente protette dinanzi al giudice dotato di giurisdizione. Infatti gli artt. 59, comma 2, l. 18 giugno 2009, n. 69 e 11, comma 2, c.p.a. prevedono espressamente che, riproposta la domanda al giudice munito di giurisdizione, restano ferme le preclusioni e le decadenze intervenute (cfr. Cons. Stato, sez. III, sentenza 2 ottobre 2023, n. 8599).

Conseguentemente il Consiglio Nazionale Forense ha dichiarato inammissibile il ricorso per tardività.

 

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