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Non impugnabile ordinanza con cui il giudice penale rimette le parti di fronte a quello civile

Non impugnabile ordinanza con cui il giudice penale rimette le parti di fronte a quello civile

Con la sentenza n. 31088/2018 la Corte è tornata a ribadire che non è impugnabile l'ordinanza con cui il giudice penale rimette le parti di fronte al giudice civile nel caso in cui sorga una controversia in ordine alla proprietà delle cose sequestrate.

Nel caso sottoposto all'esame della Corte, il giudice dell'esecuzione aveva deciso sull'opposizione proposta dal difensore dell'imputato avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di annullamento o revoca del sequestro probatorio di un conto corrente intestato ad una società coinvolta in un procedimento penale per bancarotta fraudolenta, rimettendo le parti davanti al giudice civile.

Nel caso controverso, il giudizio si era concluso con una sentenza di patteggiamento. 

Il giudice di merito, tuttavia non aveva deciso alcunché con riguardo al sequestro e, dunque, gli interessati avevamo richiesto la restituzione di quanto depositato sul conto. 

Il tribunale, con ordinanza, rimetteva le parti di fronte al giudice civile, ritenendo che fosse controversa la titolarità delle somme ivi depositate.

In tali ipotesi, infatti, l'art. 263 c.p.p. co. 3 prevede espressamente che "In caso di controversia sulla proprietà delle cose sequestrate, il giudice ne rimette la risoluzione al giudice civile del luogo competente in primo grado, mantenendo nel frattempo il sequestro".

I legali rappresentanti delle società interessate alla restituzione delle somme proponevano allora ricorso per cassazione lamentando l'erronea applicazione della legge e il difetto di motivazione di tale provvedimento.

L'occasione è gradita alla Corte per trattare la natura dell'ordinanza di rimessione della questione al giudice civile.

In particolare, la Corte ricorda che la giurisprudenza ha ormai da tempo ritenuto in maniera pacifica la natura non decisoria dell'ordinanza.

Manca, infatti, una espressa indicazione nel senso della sua impugnabilità all'art. 568 c.p.p.

L'ordinanza peraltro è espressione di un potere meramente ordinatorio in quanto non presenta sul piano formale e sostanziale un contenuto decisorio ma ha una veste interlocutoria e rinvia "ad un altro momento la decisione sul petitum, sì da non determinare di per sé soli alcun effetto sulle posizioni soggettive tra le parti". 

A fronte di una giurisprudenza pacifica sul punto, merita, tuttavia, segnalare un recente provvedimento difforme il quale ha ritenuto che fosse ricorribile in Cassazione il provvedimento del giudice dell'esecuzione quando rimette le parti davanti al giudice civile rigettando la richiesta di restituzione dei beni, qualora non sia già pendente un giudizio civile su punto.

In tal caso, infatti, osserva la Corte, "in ragione dell'impossibilità per l'interessato di ricevere aliundetutela da parte dell'autorità giudiziaria, deve escludersi la natura interlocutoria della decisione." [Cass. sez. I, 16 aprile n. 23333]

Nell'arresto in commento, tuttavia, la Corte ritiene di non poter aderire a questo orientamento minoritario, ribadendo i motivi di inoppugnabilità per la assenza del contenuto decisorio dell'ordinanza.

Irrilevante risulta altresì anche l'assenza di un contestuale procedimento civile nel momento in cui il giudice traferisce la questione in ordine alla restituzione del bene sequestrato in quanto il provvedimento di cui all'art. 263 c.p.p. può essere adottato anche in caso di semplice possibilità che insorga la lite in merito alla proprietà del bene sequestrato e non necessariamente quando la lite sia attuale sull'oggetto.

Il trasferimento della controversia non è identificabile con una riassunzione in senso tecnico, ma come un rinvio al giudice competente. La mancata riassunzione nel termine di tre mesi, infatti, non pregiudica i diritti delle parti, salvo il fatto che il sequestro continua ad essere mantenuto.

Di talché l'ordinanza di cui all'art. 263 co. 3 c.p.p. non è impugnabile. 

 

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