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Accordo stragiudiziale intervenuto nel giudizio di impugnazione, SC: no all'estinzione del processo

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Con ordinanza n. 6444 del 6 marzo 2019, la Corte di Cassazione ha stabilito che nel corso di un giudizio di impugnazione, quando le parti raggiungano un accordo extragiudiziale, il relativo processo non va estinto: si deve semplicemente dichiarare la cessazione della materia del contendere. E ciò al fine di non cristallizzare gli effetti della sentenza impugnata.

Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta ai Giudici di legittimità.

I fatti di causa.

La ricorrente, una banca, ha appellato la sentenza con cui il Tribunale ha accolto la domanda di dichiarazione di nullità d un contratto quadro e di un conseguente ordine di acquisto di obbligazioni proposta da un suo cliente. Nel corso del giudizio di secondo grado, dopo il deposito delle comparse conclusionali, le parti hanno presentato un'istanza congiunta di rimessione a ruolo per dichiarazione della cessione della materia del contendere a spese compensate, avendo le stesse "raggiunto un accordo transattivo stragiudiziale". La Corte d'appello, rimettendo la causa sul ruolo ha confermato le conclusioni comuni rassegnate nell'istanza, cioè la dichiarazione di cessazione della materia del contendere e la compensazione delle spese e nel contempo ha dichiarato estinta la causa.

Il caso è giunto dinanzi alla Corte di Cassazione in quanto la banca lamenta che:

  • la pronuncia di estinzione del giudizio non è corretta in quanto essa porta al passaggio in giudicato della sentenza di primo grado;
  • il passaggio in giudicato di tale provvedimento «precluderebbe alla ricorrente l'esercizio del diritto di chiedere la restituzione dell'imposta di registro pagata sulla sentenza di primo grado per pronuncia di cessazione della materia del contendere ai sensi dell'articolo 37 d.p.t. 131/1986, il quale prevede il suddetto rimborso "in base a successiva sentenza passata in giudicato" cui equipara "l'atto di conciliazione giudiziale e l'atto di transazione stragiudiziale in cui è parte l'amministrazione dello Stato"»;
  • mancano i presupposti per dichiarare l'estinzione del giudizio.

Ripercorriamo i punti salienti dell'iter logico-giuridico seguito dai Giudici di legittimità.

La decisione della SC.

La Corte di cassazione, innanzitutto, chiarisce che quando la cessazione della materia del contendere si palesa nel corso del giudizio di impugnazione (come nel caso di specie), è in rilievo una situazione oggettiva che evidenzia «la non necessità di una pronuncia sulla domanda e, in suo luogo, proprio l'interesse delle parti a una pronuncia che, dichiarando la cessazione della materia del contendere, attesti che la lite è definita». Quest'interesse può essere imputabile a ragioni diverse, quali ad esempio l'intervenuta transazione novativa, l'intervenuto riconoscimento della fondatezza della pretesa con definizione della controversia, l'intervenuto adempimento e così in via. In questi casi, le Sezioni Unite della Corte di cassazione (sentenza n. 8980/2018), con riferimento all'ipotesi di intervenuto accordo tra le parti nel corso di un giudizio di legittimità, hanno chiaramente affermato che va dichiarata cessata la materia del contendere, con conseguente venir meno dell'efficacia della sentenza impugnata, quando con l'accordo su enunciato: 

  • «la situazione non è riconducibile a una delle tipologie di decisione di cui agli articoli 382, terzo comma, 383 e 184 c.p.c.», ossia rispettivamente i) ai casi in cui la decisione impugnata viene riformata senza rinvio perché il processo non può proseguire in quanto già in origine la causa non avrebbe dovuto essere proposta, ii) ai casi in cui la decisione viene riformata con rinvio, essendo necessaria la prosecuzione del processo per riesaminare la questione o procedere all'assunzione di determinati mezzi istruttori;
  • non risulta «configurabile un sopravvenuto disinteresse delle parti alla decisione del ricorso», quale ad esempio una sopravvenuta inammissibilità del ricorso stesso (Cass., n. 24083/2018).

«Non a caso, già in precedenza (Cass. sez. 1, 7 maggio 2009 n. 10553) si è chiaramente affermato che la cessazione della materia del contendere in sede di impugnazione non conduce all'inammissibilità né dell'appello né del ricorso per cassazione, bensì porta alla "rimozione delle sentenze già emesse, perché prive d'attualità", essendo venute meno le ragioni di contrasto tra le parti e il conseguente interesse alla richiesta di pronuncia di merito; e ciò pure nell'ipotesi in cui le parti non abbiano raggiunto un espresso accordo anche in ordine alla fondatezza o meno delle rispettive posizioni originarie nel giudizio». Per queste ragioni, nella questione in esame, a parere della Corte di cassazione, i Giudici d'appello hanno errato nel dichiarare estinto il processo in quanto così facendo non hanno privato di effetti la sentenza di merito impugnata; una sentenza che, in realtà, avrebbe dovuto essere resa inefficace, essendo stata sostituita dall'accordo stragiudiziale. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, la Suprema Corte di cassazione i) ha cassato il provvedimento di secondo grado, nel senso su indicato, ii) ha deciso nel merito e ii) ha dichiarato la cessazione della materia del contendere a spese compensate.

 

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