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Con la sentenza n. 36901 dello scorso 22 dicembre, la III sezione penale della Corte di Cassazione, ha confermato una condanna per il reato di violenza sessuale inflitto ad uno marito per aver costretto la moglie a rapporti sessuali, respingendo le tesi difensive dell'uomo secondo cui il mancato dissenso della moglie al congiungimento si giustificava alla luce della normale consuetudine sessuale tra i due.
Si è difatti specificato che il mancato dissenso ai rapporti sessuali con il proprio coniuge, in costanza di convivenza, non ha valore scriminante quando sia provato che la parte offesa abbia subito tali rapporti per le violenze e le minacce ripetutamente poste in essere nei suoi confronti, con conseguente compressione della sua capacità di reazione per timore di conseguenze ancor più pregiudizievoli, dovendo, in tal caso, essere ritenuta sussistente la piena consapevolezza dell'autore delle violenze del rifiuto, seppur implicito, ai congiungimenti carnali.
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, accusato dei reati di maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale commessi in danno della coniuge convivente.
In particolare, l'uomo ogni giorno, per motivi futili, litigava con la moglie e, dopo averla chiusa in camera, la picchiava e la minacciava, obbligandola a rapporti sessuali contro la sua volontà.
Per tali fatti, sia il Tribunale che la Corte d'Appello di Bologna condannavano l'uomo alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione.
Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell'uomo eccepiva l'inosservanza e erronea applicazione della legge penale per essere stato ritenuto sussistente il reato di violenza sessuale in assenza di un accertamento sull'elemento costitutivo del dolo.
Più nel dettaglio, l'imputato evidenziava come la mancanza del dissenso della moglie al congiungimento si giustificava alla luce della normale consuetudine sessuale tra i due.
La Cassazione non condivide la censura prospettata.
La Corte ricorda che il mancato dissenso ai rapporti sessuali con il proprio coniuge, in costanza di convivenza, non ha valore scriminante quando sia provato che la parte offesa abbia subito tali rapporti per le violenze e le minacce ripetutamente poste in essere nei suoi confronti, con conseguente compressione della sua capacità di reazione per timore di conseguenze ancor più pregiudizievoli, dovendo, in tal caso, essere ritenuta sussistente la piena consapevolezza dell'autore delle violenze del rifiuto, seppur implicito, ai congiungimenti carnali.
Con specifico riferimento al caso di specie, la Cassazione evidenzia come le dichiarazioni della persona offesa siano inequivoche nel far ritenere che il marito non poteva di certo essere convinto del consenso della moglie allorquando avvenivano i rapporti sessuali; al contrario, dalla narrazione dei fatti fornita dalla persona offesa – che aveva dettagliatamente evidenziato come il marito era solito usare dapprima violenza, subito dopo chiudendola in camera per poi obbligarla a rapporti sessuali, continuando anche a picchiarla se si opponeva - emerge con chiarezza che l'atteggiamento dell'uomo non era tale da potere lasciare spazio già all'espressione di un sia pur minimo dissenso.
In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.
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