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Violenza assistita e divieto di avvicinamento: le ragioni cautelari prevalgono sulle prerogative genitoriali

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Con la sentenza n. 2079 dello scorso 17 gennaio, la VI sezione penale della Corte di Cassazione – chiamata a pronunciarsi in tema di violenza domestica assistita – ha ritenuto legittimo il provvedimento cautelare che disponeva il divieto di avvicinamento dell'indagato alla figlia minore vittima di violenza domestica assistita, ritenendo prevalenti, in funzione del best interest of the child, le ragioni di tutela della minore da ogni pregiudizio su quelle del soggetto maltrattante ad esercitare le prerogative genitoriali.

Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Prato, con ordinanza, applicava la misura coercitiva del divieto di avvicinamento verso la moglie e la figlia di un uomo, ritenuto gravemente indiziato del delitto di cui all'art. 572, primo e secondo comma c.p., per aver posto in essere, con sistematiche ingiurie, minacce e aggressioni, maltrattamenti in danno delle due donne.

In particolare, la bimba, di appena cinque anni d'età, aveva assistito nei suoi pochi anni di vita a gravi episodi di violenza fisica, respirando l'insano clima di sopraffazione posto in essere dal padre nei confronti della madre; il padre, presente la figlia, aveva, tra le altre cose, spinto la moglie in terra facendole urtare il capo contro il radiatore, lanciandole addosso una sigaretta e aveva incitato la figlia a lanciare del cibo addosso alla madre, come fosse una pattumiera.

Alla luce di tali gravissime condotte, il Gip rilevava come la bambina, sebbene fosse stata solo episodicamente vittima dei maltrattamenti, cionondimeno che era pur sempre vittima di «maltrattamenti assistiti» e che, pertanto, anche in relazione alla stessa, fossero concrete e attuali le esigenze cautelari. 

L'ordinanza veniva confermata dal Tribunale di Firenze, che rigettava la richiesta di riesame proposta dall'indagato sul presupposto che l'applicazione della misura coercitiva andasse disposta anche a tutela della figlia.

Ricorrendo in Cassazione, il padre censurava la decisione per vizio di manifesta illogicità della motivazione in ordine ai presupposti di applicabilità della misura coercitiva del divieto di avvicinamento alla figlia minorenne.

In particolare, l'uomo eccepiva come la misura coercitiva applicata fosse idonea a ledere il rapporto tra padre e figlia, senza confrontarsi con la necessità prioritaria di preservare l'equilibrio psicofisico della minorenne in ottemperanza al principio dell'interesse preminente del minore.

La Cassazione non condivide le doglianze formulate.

Gli Ermellini ricordano che i maltrattamenti inflitti da un coniuge all'altro in presenza dei figli possono condurre alla dichiarazione di decadenza dalla potestà genitoriale, per le inevitabili ripercussioni negative sull'equilibrio fisiopsichico della prole e sulla serenità dell'ambiente familiare e poiché, ancora, denotano mancanza di quel minimo di disponibilità affettiva e pedagogica richiesto in chi esercita la potestà parentale. 

Sul punto, la giurisprudenza è granitica nel ritenere che il principio dell'interesse preminente del minore, principio sancito da una pluralità di strumenti normativi internazionali e dell'Unione europea e dagli artt. 30 e 31 Cost., impone che in tutte le decisioni relative ai minori di competenza delle pubbliche autorità, compresi i tribunali, deve essere riconosciuto il rilievo primario alla salvaguardia dei "migliori interessi" (o dell'interesse superiore") del minore.

Alla luce di tanto, la sentenza in commento rileva come deve ritenersi legittimo il provvedimento cautelare che disponga il divieto di avvicinamento dell'indagato al figlio minore vittima di violenza domestica, anche solo assistita, dovendo ritenersi prevalenti, in funzione del best interest of the child, le ragioni di tutela del minore da ogni pregiudizio su quelle del soggetto maltrattante ad esercitare le prerogative genitoriali.

In conclusione, la Cassazione conferma la legittimità della decisione impugnata, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. 

 

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