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Con la sentenza n. 2079 dello scorso 17 gennaio, la VI sezione penale della Corte di Cassazione – chiamata a pronunciarsi in tema di maltrattamenti in famiglia – ha ritenuto concrete e attuali le esigenze cautelari che avevano condotto i giudici di merito ad applicare la misura cautelare del divieto di avvicinamento verso la figlia di uomo vittima di violenza "assistita".
Si è, difatti, precisato che "il delitto di maltrattamenti è configurabile anche nel caso in cui i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente in danno dei figli minori, ma li coinvolgano indirettamente, come involontari spettatori delle liti tra i genitori che si svolgono all'interno delle mura domestiche (c.d. violenza assistita), sempre che sia stata accertata l'abitualità delle condotte e la loro idoneità a cagionare uno stato di sofferenza psicofisica nei minori spettatori passivi".
Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Prato, con ordinanza, applicava la misura coercitiva del divieto di avvicinamento verso la moglie e la figlia di un uomo, ritenuto gravemente indiziato del delitto di cui all'art. 572, primo e secondo comma c.p., per aver posto in essere, con sistematiche ingiurie, minacce e aggressioni, maltrattamenti in danno delle due donne.
L'ordinanza veniva confermata dal Tribunale di Firenze, che rigettava la richiesta di riesame proposta dall'indagato sul presupposto che l'applicazione della misura coercitiva andasse disposta anche a tutela della figlia in quanto la stessa, sebbene fosse stata solo episodicamente vittima dei maltrattamenti, cionondimeno che era pur sempre vittima di «maltrattamenti assistiti».
Ricorrendo in Cassazione, il padre censurava la decisione per vizio di manifesta illogicità della motivazione in ordine ai presupposti di applicabilità della misura coercitiva del divieto di avvicinamento alla figlia minorenne.
In particolare, l'uomo, muovendo da un distinguo tra vittima dei maltrattamenti diretti e vittima dei «maltrattamenti assistiti», sosteneva come solo per impedire la reiterazione di maltrattamenti diretti si sarebbe reso necessario spezzare la contiguità spaziale tra maltrattante e maltrattata, mentre per impedire i maltrattamenti assistiti nei confronti della figlia non occorreva allontanare il maltrattante dal terzo spettatore.
La Cassazione non condivide le doglianze formulate.
Gli Ermellini evidenziano che il delitto di maltrattamenti è configurabile anche nel caso in cui i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente in danno dei figli minori, ma li coinvolgano indirettamente, come involontari spettatori delle liti tra i genitori che si svolgono all'interno delle mura domestiche (c.d. violenza assistita), sempre che sia stata accertata l'abitualità delle condotte e la loro idoneità a cagionare uno stato di sofferenza psicofisica nei minori spettatori passivi.
In particolare, si è rilevato che i maltrattamenti inflitti da un coniuge all'altro in presenza dei figli possono condurre alla dichiarazione di decadenza dalla potestà genitoriale, per le inevitabili ripercussioni negative sull'equilibrio fisiopsichico della prole e sulla serenità dell'ambiente familiare e poiché, ancora, denotano mancanza di quel minimo di disponibilità affettiva e pedagogica richiesto in chi esercita la potestà parentale
In relazione al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come la bimba, di appena cinque anni d'età, aveva assistito nei suoi pochi anni di vita a gravi episodi di violenza fisica, respirando l'insano clima di sopraffazione posto in essere dal padre nei confronti della madre; il padre, presente la figlia, aveva, tra le altre cose, spinto la moglie in terra facendole urtare il capo contro il radiatore, lanciandole addosso una sigaretta e aveva incitato la figlia a lanciare del cibo addosso alla madre, come fosse una pattumiera.
Alla luce di tali gravissime condotte, la sentenza in commento rileva come sia la moglie che la figlia del ricorrente fossero state vittime di maltrattamenti in famiglia e, quindi, correttamente il Tribunale del riesame aveva ritenuto concrete e attuali le esigenze cautelari in relazione ad entrambe.
In conclusione, la Cassazione il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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