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Violazione dei principi deontologici generali. Non occorre autonomo accertamento

avvocatura

 Tra i doveri degli avvocati costituiscono principi ispiratori di ogni regola deontologica i concetti di probità, dignità e decoro.

Tali principi rappresentano le premesse che ogni avvocato deve rispettare qualunque azione compia, in quanto mirano a tutelare l'affidamento che la collettività ripone nella figura dell'avvocato, quale professionista leale e corretto in ogni ambito della propria attività.

Per tanto, rileva la sentenza n. 165/2023 del Consiglio Nazionale Forense che ha rigettato il ricorso di un legale incolpato della violazione dei principi deontologici generali e sanzionato con la censura dal Consiglio distrettuale di disciplina forense di Brescia.

Difatti, in materia di responsabilità disciplinare degli avvocati, le norme del Codice deontologico che elencano i comportamenti che il professionista deve tenere nei rapporti con i colleghi, la parte assistita, la controparte, i magistrati e i terzi, costituiscono mere esplicitazioni esemplificative dei doveri di lealtà, correttezza, probità, dignità e decoro, previsti in via generale dalla legge professionale e dallo stesso Codice.

 Da tale principio, scaturisce il fatto che, basta la semplice inosservanza per violazione di tali doveri, senza necessità di un autonomo accertamento.

Unica eccezione se contestata in relazione a comportamenti diversi da quelli specificamente riconducibili alle predette disposizioni.

Per quanto concerne invece il procedimento disciplinare, oggetto di valutazione deve essere il comportamento complessivo dell'incolpato.

Difatti, in ossequio al principio enunciato dall'art. 21 cdf nei procedimenti disciplinari la valutazione va svolta sia considerando la condotta in generale tenuta dal soggetto, ma, anche al fine di infliggere la sanzione più adeguata.

 Tale sanzione, quindi, non è la somma di altrettante pene singole sui vari addebiti contestati, quanto invece il frutto della valutazione complessiva del soggetto interessato, tenendo conto: della gravità del fatto, del grado della colpa, della eventuale sussistenza del dolo e della sua intensità, del comportamento dell'incolpato, precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle circostanze, oggettive e soggettive, nel cui contesto è avvenuta la violazione (comma 3), del pregiudizio eventualmente subito dalla parte assistita e dal cliente, della compromissione dell'immagine della professione forense, della vita professionale dell'incolpato, dei suoi precedenti disciplinari (comma 4).

 

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