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Dichiara circostanze false in un atto di citazione: avvocato sospeso dall’esercizio della professione

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Con la sentenza n. 41990 dello scorso 30 dicembre, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno considerato illecito il comportamento di un avvocato che, in una domanda risarcitoria per una ingiusta condanna penale, aveva affermato che i suoi clienti erano stati assolti, laddove gli stessi erano stati, in realtà, prosciolti per motivi procedurali.

Si è, così, confermata la sanzione disciplinare consistente nella sospensione dall'esercizio della professione forense per quattro mesi.

Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, taluni occupanti sine titulo di un terreno venivano rinviati a giudizio per il reato di violenza privata per aver indirizzato la frase "se volete passare un Natale tranquillo allontanatevi" nel confronti di alcuni operai che dovevano eseguire dei lavori su quel terreno.

Nel corso del procedimento penale, a seguito della richiesta di derubricazione del capo d'imputazione in minacce formulata dal Pubblico Ministero di udienza, cui era seguita l'adesione del loro difensore, gli imputati venivano prosciolti, per difetto di querela.

Successivamente, il medesimo difensore instaurava, a favore degli occupanti sine titulo, un giudizio risarcitorio per il turbamento psicologico derivato dall'essere stati sottoposti ingiustamente a procedimento penale e poi assolti.

La domanda veniva rigettata, sul presupposto che gli originari imputati non erano stati assolti, ma solo prosciolti per assenza della condizione di procedibilità.

 Il comportamento del legale, che aveva dichiarato circostanze non vere nei propri scritti, veniva quindi segnalato agli organi disciplinari.

Sul merito della questione disciplinare aveva statuito, inizialmente, il Consiglio Distrettuale di Disciplina dell'ordine degli Avvocati di Roma che aveva sanzionato l'avvocato ritenendolo responsabile della violazione degli artt. 6 e 14 del codice disciplinare previgente, per avere dichiarato, contrariamente al vero, nell'atto di citazione della causa risarcitoria, che i suoi clienti erano stati assolti nel procedimento penale in cui erano imputati, oltre ad avere perseverato in tale condotta anche con l'atto di appello.

Il Consiglio Nazionale Forense, ritenuta accertata la violazione del codice deontologico forense (e, in particolare, degli articoli 9 e 50 riguardanti il dovere di lealtà e correttezza nonché il dovere di verità, laddove si impone all'avvocato di non rendere false dichiarazioni sull'esistenza o inesistenza di fatti di cui abbia diretta conoscenza) rideterminava la sanzione disciplinare applicata nei confronti del legale in quella della sospensione dall'esercizio della professione forense per quattro mesi.

Il Consiglio Nazionale Forense osservava che l'avvocato era ben consapevole della portata giuridica della sentenza del Tribunale penale, stante l'adesione prestata alla derubricazione del reato.

Il legale, ricorrendo in Cassazione, deduceva violazione degli artt. 9 e 50 in ordine alla supposta violazione dell'obbligo di verità e all'insussistenza dell'elemento soggettivo dell'incolpazione. A tal fine rilevava come il codice deontologico forense, nel prevedere il dovere di verità inteso come dovere di non rendere false dichiarazioni sull'esistenza o inesistenza di fatti di cui l'avvocato abbia diretta conoscenza, presuppone la consapevolezza in capo al legale circa la falsità della dichiarazione resa in ordine alla inesistenza - esistenza del fatto. 

 Nel caso di specie, il legale sosteneva come mancasse la coscienza e volontà dell'azione, per essere lo stesso incorso in errore con riferimento alla ritenuta equivalenza tra assoluzione e proscioglimento circa la fattispecie derubricata; a propria difesa il ricorrente rilevava anche come l'uso errato del termine non appariva finalizzato né idoneo a trarre in errore il giudice, che ben aveva rappresentato la reale situazione nella sentenza di primo grado.

La Cassazione non condivide le doglianze sollevate.

Le Sezioni Unite rilevano come la qualifica professionale dell'incolpato non consente di supportare la tesi dell'errore nell'uso dell'espressione assoluzione in luogo di proscioglimento, essendo il legale ben consapevole della relativa differenza, anche perché aveva prestato adesione alla derubricazione del reato che aveva comportato il proscioglimento per assenza della condizione di procedibilità.

Sul punto, la Suprema Corte ribadisce l'irrilevanza della circostanza per cui la situazione reale era stata ben rappresentata dal giudice nella sentenza civile che aveva rigettato la domanda risarcitoria: secondo gli Ermellini, il fatto che il giudice non fosse stato tratto in inganno non sta a significare di per sé irrilevanza della condotta, poiché la sentenza è stata resa all'esito del contraddittorio e alla rappresentazione della realtà dei fatti ha contribuito l'attività della controparte.

La sentenza di merito viene dunque confermata; la Cassazione rigetta il ricorso, con condanna del ricorrente al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

 

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