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Sulla forma del licenziamento, l'art. 2 della L. 604/1966, si limita a prescrivere, quale caratteristica essenziale dell'atto, unicamente la forma scritta, senza specificazioni ulteriori.
Il fatto che la norma non dica nulla circa le modalità con le quali la comunicazione debba essere portata a conoscenza del lavoratore, lascia, dunque, al datore di lavoro un ampio margine di scelta sulla modalità da seguire a tal fine.
La giurisprudenza più risalente considerava valida ogni forma di comunicazione del licenziamento, purché vi fosse la "trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità" .
In conformità a tale principio, è stata, ad esempio, ritenuta valida la consegna a mano del documento al lavoratore all'interno della struttura aziendale , tramite persona incaricata dal datore di lavoro.
Nonostante viga, dunque, in tema dei mezzi da utilizzare per comunicare il licenziamento, un sostanziale principio di libera scelta, deve ritenersi che la raccomandata, la posta certificata o la lettera consegnata a mani e controfirmata (per ricevuta) dal lavoratore, siano gli strumenti che più efficacemente consentono al datore di dimostrare il rispetto sulla prescrizione della forma scritta.
Nel caso di comunicazione del licenziamento tramite raccomandata con avviso di ricevimento, l'unico strumento che il datore di lavoro ha a disposizione per dimostrarne sia l'invio che la ricezione da parte del destinatario, è l'avviso di ricevimento, che, dunque, deve essere necessariamente prodotto in giudizio, salvo che il lavoratore non effettui alcuna contestazione in merito all'avvenuta consegna del plico da parte dell'ufficio postale.
Secondo un orientamento recentemente espresso dalla Cassazione (ord. n. 31845/2023), in caso di missive inviate a mezzo del servizio postale tramite raccomandata, non può ritenersi necessaria la produzione dell'avviso di ricevimento, ai fini dell'operatività della presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 c.c., sia nel caso in cui non sia contestata l'avvenuta consegna della missiva da parte del servizio postale, sia nel caso in cui l'atto di cui si discute sia stato legittimamente inviato a mezzo di raccomandata semplice, senza avviso di ricevimento. Il mittente, prosegue la Cassazione, deve, invece, produrre l'avviso di ricevimento, nel caso in cui lo stesso sia disponibile e, certamente, in tutti i casi in cui si discuta di un atto recettizio che, per espressa disposizione di legge, debba essere necessariamente inviato a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento. In tali ultimi casi, laddove la mancata produzione dell'avviso di ricevimento da parte del mittente non sia adeguatamente giustificata e/o non sussistano altri elementi di prova che dimostrino l'avvenuta consegna della raccomandata, il giudice di merito, in caso di contestazioni, non può ritenere dimostrata l'operatività della presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 c.c. solo in virtù della prova dell'invio della raccomandata, ma dovrà verificare l'esito dell'invio in primo luogo sulla base delle risultanze dell'avviso di ricevimento e, comunque, valutando ogni altro mezzo di prova utile e la sua decisione non sarà sindacabile in sede di legittimità, trattandosi di un accertamento di fatto ad esso riservato.
Nell'ordinanza n. 15397 del 31 maggio scorso, la Cassazione, richiamando anche il suddetto principio, è tornata a pronunciarsi sull'operatività della presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 c.c., in un caso di licenziamento intimato a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, specificando che tale presunzione trova applicazione anche in caso di compiuta giacenza.
Il principio di massima.
A norma dell'art. 1335 c.c., gli atti unilaterali diretti ad un determinato destinatario (come il licenziamento) si reputano conosciuti nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia. Si tratta di una presunzione legale di conoscenza, nel senso di conoscibilità equiparata a legale conoscenza, fondata sulla prova del pervenimento, all'indirizzo del destinatario, della comunicazione. Affinché tale presunzione legale sia superata, è necessaria che sia fornita la prova contraria dell'impossibilità di averne notizia senza colpa del destinatario.
Il caso.
La dipendente di una banca impugnava il licenziamento disciplinare chiedendone l'annullamento con conseguente sua reintegrazione nel posto di lavoro.
La richiesta veniva rigettata sia in primo che in secondo grado, poiché entrambi i giudici, reputando valida la comunicazione del licenziamento avvenuta per compiuta giacenza, ritenevano maturata la decadenza della lavoratrice dal potere di impugnazione entro 60 giorni.
Ricorreva, perciò, in Cassazione la lavoratrice, rilevando, tra l'altro, la falsa applicazione dell'art. 1335, c.c., degli artt. 8 e 9 della L. 890/1982, dell'art. 2 L. n. 604/1966 e, infine, la contrarietà della statuizione sul punto con i principi espressi dalla Cassazione nelle sentenze n. 19232/2018 e 12822/2016.
Nello specifico, la ricorrente deduceva di non aver rinvenuto, nella propria cassetta di posta, l'avviso di compiuta giacenza e che, non avendo controparte fornito la prova dell'attività svolta dall'ufficio postale, non avrebbe potuto trovare applicazione nel caso di specie la presunzione di conoscenza di cui all'art. 1335 c.c., con la conseguenza che il licenziamento avrebbe dovuto ritenersi inefficace, poiché non comunicato.
La decisione della Cassazione.
Secondo la Suprema Corte, a fronte della produzione, da parte del datore di lavoro, di una documentazione ritenuta, dal giudice del merito, idonea a fondare la presunzione legale di conoscenza di cui all'art. 1335 c.c., - documentazione nella fattispecie costituita dalla ricevuta di invio della raccomandata contenente la lettera di licenziamento, accompagnata dalle schede informative, provenienti da Poste italiane, dalle quali si desumevano la mancata consegna della raccomandata, il suo deposito presso l'ufficio postale, la sua restituzione al mittente all'esito della compiuta giacenza – la lavoratrice non avrebbe dovuto limitarsi a dedurre il mancato rinvenimento, nella cassetta postale, dell'avviso di giacenza, ma avrebbe dovuto provare altresì di essersi trovata nell'impossibilità di averne notizia senza colpa, il che avrebbe comportato, ad esempio, la prova dell'invio della raccomandata ad un indirizzo diverso da quello comunicato al datore di lavoro.
Quanto alla lamentata incongruità della sentenza impugnata con i precedenti enunciati nelle note sentenze nn. 19232/2018 e 12822/2016, la Corte ha rilevato come, nel caso di specie, la presunzione di conoscenza della lettera di licenziamento non fosse integrata dalla sola prova della spedizione della raccomandata (come invece nei casi posti a fondamento dei due precedenti in questione) essendo, invece, documentalmente provate anche tutte le altre attività svolte dall'agente postale incaricato della consegna, oltre che la compiuta giacenza e non vertendosi, dunque, in un ipotesi di licenziamento orale.
In estrema sintesi, nel caso sottoposto alla valutazione della Suprema Corte, l'estensione dell'operatività della presunzione di conoscenza alla compiuta giacenza, sembra essere sorretta, oltre che sull'adeguata dimostrazione dell'avvenuta consegna, (soprattutto) sul mancato assolvimento dell'onere probatorio incombente sulla lavoratrice.
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Paola Mastrantonio, avvocato; amante della libertà, della musica e dei libri. Pensiero autonomo è la mia parola d'ordine, indipendenza la sintesi del mio stile di vita. Laureata in giurisprudenza nel 1997, ho inizialmente intrapreso la strada dell'insegnamento, finché, nel 2003 ho deciso di iscrivermi all'albo degli avvocati. Mi occupo prevalentemente di diritto penale. Mi sono cimentata in numerose note a sentenza, pubblicate su riviste professionali e specializzate. In una sua poesia Neruda ha scritto che muore lentamente chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno. Io sono pienamente d'accordo con lui.