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Sinistri e macrolesioni, SC: “Le spese per la futura assistenza personale vanno liquidate in intero”

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Con la decisione n. 17815 dello scorso 3 luglio, la VI sezione civile della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul diritto di un una signora, divenuta parzialmente invalida a seguito di un sinistro stradale, di ottenere il risarcimento integrale dei danni consistenti nelle spese future per l'assistenza personale, ha accolto l'istanza della richiedente precisando che il danno consistente nelle spese per assistenza personale, patito dalla vittima di lesioni personali, va liquidato ai sensi dell'art. 1223 c.c. stimando il costo presumibile delle prestazioni di cui la vittima avrà bisogno in considerazione delle menomazioni da cui è afflitta, rapportato alla durata presumibile dell'esborso. Il risarcimento così determinato è dovuto per intero, senza alcuna riclusione percentuale corrispondente al grado di invalidità permanente patito dal danneggiato".

Sul merito della questione si era pronunciato, inizialmente, il Tribunale di Monza, adita da una donna vittima di un incidente stradale a seguito del quale aveva riportato lesioni personali comportanti una invalidità pari al 40%; il Tribunale accoglieva parzialmente la richiesta di risarcimento danni avanzata, rigettando, in particolare, quanto richiesto a titolo di danno patrimoniale futuro, rappresentato dalle spese che l'attrice avrebbe dovuto sostenere per remunerare una persona che provvedesse alla sua assistenza personale, divenuta non più autonoma negli atti della vita quotidiana a causa dell'invalidità.

La Corte d'appello di Milano, dovendo quantificare il danno emergente patito dalla vittima, e consistente nelle spese che questa avrebbe dovuto affrontare per remunerare una persona che l'assistesse nello svolgimento delle attività quotidiane, determinava il costo di tale assistenza in Euro 800 mensili. 

Stabilita la misura-base del risarcimento, la Corte d'appello la riduceva in Euro 600 mensili, tenendo conto del fatto che, al momento della liquidazione, era il marito della vittima a prestarle assistenza e che, con l'incedere dell'età, la vittima avrebbe avuto bisogno di ricorrere a forme di assistenza personale. Dopo avere trasformato in capitale questa rendita negativa attraverso una operazione di capitalizzazione, la Corte d'appello ulteriormente riduceva del 40% il risultato ottenuto.

Avverso tale sentenza, la donna proponeva ricorso per Cassazione, censurando la sentenza d'appello nella parte in cui aveva ridotto del 40% la liquidazione del danno patrimoniale rappresentato dalle spese di assistenza future.

In particolare, secondo la ricorrente, la decurtazione, operata dal Tribunale, in assenza di qualsiasi spiegazione, violava il principio dell'integrale risarcimento.

La Cassazione condivide le doglianze del ricorrente.

La Corte premette che, in virtù del principio di integralità o di indifferenza di cui all'art. 1223 c.c., il risarcimento deve coprire "tutto il danno e nulla più che il danno".

Siffatto principio vale anche nei casi di danno parziale e, pertanto, il risarcimento di una invalidità parziale deve avvenire in modo integrale: conseguentemente, colui che abbia patito, in conseguenza d'un fatto illecito, un'invalidità del 40%, avrà diritto all'integrale risarcimento dovuto per una invalidità di quel grado, posto che – in un simile caso – è solo l'invalidità che è parziale e non anche il risarcimento spettante. 

La Corte d'appello, nella sentenza impugnata, stimava in Euro 600 mensili il costo dell'assistenza personale di cui la vittima avrebbe avuto bisogno e, moltiplicato il suddetto importo per un coefficiente di capitalizzazione corrispondente all'età della vittima, riduceva il risultato del 40%; tuttavia, nessuna spiegazione si forniva circa siffatta riduzione.

Gli Ermellini evidenziano come la decurtazione operata dalla Corte di merito non risulta in alcun modo giustificabile.

Difatti, se si ritenesse che la Corte d'appello abbia decurtato il danno patrimoniale per spese di assistenza del 40%, per tenere conto del fatto che la vittima aveva patito una invalidità permanente del 40%, la sentenza violerebbe l'art. 1223 c.c.: una volta accertato che la vittima del sinistro aveva bisogno di assistenza personale, il costo di tale assistenza era dovuto per intero, e non nella misura ridotta del 40%, pari al grado di invalidità accertato, giacché non vi è corrispondenza biunivoca tra il grado di invalidità permanente e la misura del risarcimento dovuto a titolo di rifusione delle spese di assistenza.

In conclusione, qualora il giudice accerti in facto che la vittima abbia bisogno di assistenza personale, il relativo onere economico costituisce un danno risarcibile che, in assenza di concorso causale del danneggiato, va liquidato per intero, perché per intero dovrà essere sostenuto da quest'ultimo.

Alla luce di siffatte contingenze, la Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. 

 

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