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Responsabilità medica: per il risarcimento dei danni è sufficiente anche una prova inferiore al 50% più uno

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Con l'ordinanza n. 13864 depositata lo scorso 6 luglio, la Cassazione, chiamata a esaminare la responsabilità civile di un medico per aver eseguito in ritardo un parto cesareo, ha accolto la richiesta di risarcimento danni avanzata in sede civile, respingendo la tesi del sanitario secondo cui il principio del più probabile che non doveva portare al rigetto della domanda risarcitoria, per non essere stata raggiunga una probabilità del 51% che, ove fosse stato tenuto il comportamento corretto, esso sarebbe stato idoneo ad evitare l'evento dannoso.

Si è difatti specificato che nel giudizio civile, il criterio probabilistico di valutazione dei fatti non si aggancia ad un dato di probabilità assoluta (il 50 + 1% di probabilità), ma relativo, tenuto conto di tutte le cause e di tutti i possibili esiti: l'applicazione di siffatto criterio probabilistico relativo consente di giungere all'affermazione dell'esistenza del nesso causale tra operato del medico o della struttura sanitaria e danno anche con una percentuale di probabilità inferiore al 50%.

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dalla richiesta di risarcimento di tutti i danni, comprensivi dei danni biologici, patrimoniali, morali e alla vita di relazione, avanzata dagli eredi di una donna deceduta a seguito di un parto cesareo eseguito in ritardo in una struttura ospedaliera.

Gli attori esponevano che la loro congiunta si recava in ospedale, prossima al parto con i sintomi della gestosi; solo il giorno successivo al ricovero, il sanitario che la prendeva in carico faceva eseguire i necessari esami e veniva diagnosticata una gestosi complicata dalla presenza di una patologia rara sicché, nonostante fosse stato disposto ed eseguito il parto cesareo d'urgenza e nell'arco della stessa giornata un secondo intervento chirurgico, la gestante non sopravviveva. 

Il sanitario veniva assolto in sede penale dal reato di cui all'art. 589 c.p., con formula "perché il fatto non sussiste", in quanto non si raggiungeva lo standard probatorio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, essendo emersa una probabilità nella misura del 50% che l'evento morte fosse stata una tragica fatalità, nel senso che la morte, anche in presenza di un tempestivo intervento diagnostico, comunque si sarebbe verificata.

Adito il Tribunale per il ristoro dei danni in sede civile, il Tribunale di Lagonegro rigettava la domanda degli attori.

La Corte d'Appello di Potenza accoglieva l'appello dei congiunti, ritenendo che l'assoluzione dell'imputato con formula "perché il fatto non sussiste" non precludeva la possibilità di accertarne la responsabilità in sede civile se il danneggiato avesse assolto al proprio onere probatorio. Sul punto la Corte ribadiva come gli appellanti avessero dimostrato il nesso causale fra il ritardo nell'intervento e il decesso della signora, poiché sarebbe stato "più probabile che non" che l'evento morte - data la giovane età della donna e l'assenza di altre patologie - fosse conseguito al contegno omissivo dei sanitari, ovvero che lo stesso non si sarebbe verificato se la paziente fosse stata sollecitamente operata.

Il sanitario, ricorrendo in Cassazione, denunciava violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 2236, 2043, 2236, 2697,2059 e 2055 c.c. nonché degli artt. 40 e 41 c.p., dolendosi per non aver la Corte territoriale ritenuto dimostrato il nesso causale tra il ritardo nei trattamenti sanitari (immediato parto cesareo) e la morte della donna.

A tal fine si evidenziava che, in applicazione del principio del più probabile che non, il nesso causale si sarebbe ritenuto provato solo laddove fosse emerso che, se l'autore della condotta dannosa avesse agito diversamente, il danneggiato avrebbe avuto almeno il 51% di chanches di non subire il danno. 

Secondo il ricorrente, quindi, il principio del più probabile che non doveva portare al rigetto della domanda risarcitoria, per non essere stata raggiunga una probabilità del 51% che, ove fosse stato tenuto il comportamento corretto, esso sarebbe stato idoneo ad evitare l'evento dannoso.

La Cassazione non condivide le censure rilevate.

La Corte premette che nel processo penale e nel processo civile, è diverso l'operare dei criteri di prova del nesso causale: laddove nel processo penale l'efficienza causale deve essere provata oltre ogni ragionevole dubbio, in sede civilistica è sufficiente che, secondo il giudizio controfattuale con valutazione ex ante, risulti più probabile che non che, qualora si fosse tenuto il comportamento che la situazione avrebbe imposto, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, il danno alla persona si sarebbe evitato.

Ciò premesso, la Corte evidenzia come, nel giudizio civile, il criterio probabilistico di valutazione dei fatti non si aggancia ad un dato di probabilità assoluta (il 50 + 1% di probabilità), ma relativo, secondo il quale, tenuto conto di tutte le cause e di tutti i possibili esiti, in quella situazione, ove si fosse tenuto il comportamento corretto, esisteva un maggior grado di probabilità, rispetto a tutti gli altri possibili esiti, che l'esito mortale non si sarebbe verificato.

Ne deriva che l'applicazione di siffatto criterio probabilistico relativo consente di giungere all'affermazione dell'esistenza del nesso causale tra operato del medico o della struttura sanitaria e danno anche con una percentuale di probabilità inferiore al 50%.

La Corte rigetta quindi il ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio e al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale. 

 

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