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Lavoro subordinato: riduzione concordata dell’orario di lavoro anche per fatti concludenti.

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Secondo quanto previsto dal Decreto Legislativo dell'8 aprile 2003, n. 66 (attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro), l'orario normale di lavoro è di 40 ore settimanali, tuttavia in alcuni casi, la prestazione lavorativa può avere anche una durata inferiore: è il caso del lavoro part time che, di norma, è articolato su 5 giorni settimanali, con un numero di ore lavorative giornaliere che oscillano tra 18 e 25.

In via di principio, il rapporto di lavoro subordinato si presume a tempo pieno, a meno che non vi sia la prova di un rapporto part-time, nascente da atto scritto.

La stipula di un contratto di lavoro a tempo parziale, non è però l'unico modo per regolamentare l'esecuzione della prestazione lavorativa per un numero di ore inferiore al limite legale.

Da tempo, infatti, la giurisprudenza riconosce alle parti la facoltà di concordare una riduzione dell'orario di lavoro.

Riguardo, però, alla forma che tale accordo debba rivestire, non esiste univocità di vedute: secondo alcune pronunce (in realtà più risalenti nel tempo), l'accordo sulla riduzione della prestazione lavorativa deve necessariamente essere redatto per iscritto, altre, invece, ammettono anche la possibilità che l'accordo sia raggiunto per fatti concludenti.

Con l'ordinanza n. 28862/2023, la sezione lavoro della Corte di Cassazione è tornata sulla questione della riduzione concordata della prestazione lavorativa, ponendosi nel solco ermeneutico meno restrittivo e fornendo chiarimenti anche riguardo alla natura giuridica di tali accordi. 

La massima

In tema di orario di lavoro, pur in presenza di un rapporto di lavoro subordinato full time, il datore di lavoro può provare sospensioni concordate delle prestazioni lavorative e delle correlative retribuzioni anche per facta concludentia. Una volta raggiunta la prova di tali sospensioni, esse si traducono in clausole tacite integrative del contratto individuale di lavoro full time ed eventuali modifiche successive di quelle sospensioni concordate, non possono essere disposte né imposte unilateralmente dal datore di lavoro, ma richiedono un nuovo consenso del lavoratore.

Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza del 18 ottobre 2023, n. 28862.

Il caso

Il Barman di una discoteca agiva in giudizio per il pagamento della differenza tra la retribuzione a tempo pieno e quanto percepito per l'orario (ridotto) di fatto.

Costituitasi in giudizio, la società datrice chiedeva in via riconvenzionale l'accertamento della sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro part time, secondo i giorni e gli orari specificamente indicati.

Il Tribunale accoglieva la domanda del dipendente, dichiarando sussistente fra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e condannava la società a pagare le conseguenti differenze retributive.

La decisione veniva riformata in secondo grado, ritenendo la Corte territoriale che in giudizio fosse emersa la prova che il ricorrente avesse sempre pacificamente lavorato nei soli giorni di apertura della discoteca e che, nonostante non fosse mai stato stipulato un contratto di lavoro part time, la riduzione dell'orario di lavoro fosse stata concordata ed accettata da tutti i dipendenti che per anni avevano eseguito le prestazioni lavorative secondo le modalità concertate senza nulla eccepire.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso il lavoratore, dolendosi del fatto che la Corte territoriale avesse ritenuto inesistente tra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno, pur in assenza di un contratto con forma scritta e nonostante la messa in mora inviata al datore di lavoro in cui egli aveva dichiarato di mettere a disposizione le proprie energie lavorative per il full time. 

La decisione della corte.

Secondo i giudici della Suprema Corte, nel caso di specie, mancando un contratto scritto, il rapporto andava qualificato come contratto full time, salvo prova, per il datore di lavoro, di aver concordato con i lavoratori una riduzione dell'orario lavorativo sia in riferimento alle ore giornaliere che ai giorni di lavoro.

Tale prova, hanno proseguito i giudicanti, doveva ritenersi sussistente, avendo il datore di lavoro prodotto un accordo sindacale aziendale introducente un regime consensuale di sospensione concordata della prestazione lavorativa e della retribuzione per determinati giorni all'anno e, segnatamente, nei giorni di chiusura del locale, con garanzia di un numero minimo di giornate retribuite all'anno, fissato in 120.

Questo assetto consensuale di interessi – ossia con la sospensione concordata con tutti i dipendenti delle prestazioni lavorative nei giorni di chiusura del locale, ma con garanzia retributiva di almeno 120 giornate annuali – aveva avuto pluriennale, collettiva e consensuale attuazione, quindi, per facta concludentia quel regime doveva ritenersi "incorporato" nell'ambito del contratto di lavoro anche del ricorrente, in quanto tradottosi in clausola stipulata tacitamente.

La sentenza impugnata è stata, pertanto, cassata con rinvio, affinché sia esattamente determinato e liquidato il danno per le eventuali differenze retributive perdute, da calcolare non rispetto al full time, in realtà mai eseguito per volontà concorde delle parti, bensì tenendo conto della sospensione concordata della prestazione lavorativa e della retribuzione durante i giorni di chiusura del locale accompagnata dalla garanzia di almeno 120 giornate di retribuzione all'anno, garanzia divenuta componente necessaria di quella sospensione concordata come attuata negli anni, sulla base di un consenso manifestato per fatti concludenti. 

 

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