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Con la pronuncia n. 29133 dello scorso 25 giugno, la Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla successioni di leggi penali nel caso di colpa medica, statuendo che il presupposto applicativo dell'art. 3 della legge Balduzzi è la conformità della condotta alle linee guida, ove esistenti, ed alle buone pratiche, con la conseguenza che, se tale presupposto è mancante, sussiste una colpa grave dei medici, rilevante non solo ai sensi del D.L. n. 158 del 2012, ma anche rispetto ai criteri generali regolanti la colpa medico-professionale prima dell'entrata in vigore della legge disciplinante in modo specifico la colpa medica.
Il GUP di Taranto accertava la penale responsabilità di due medici ospedalieri, in ordine al reato di cui all'art. 589 c.p., commi 1 e 2 per avere, in cooperazione fra loro, cagionato la morte di un uomo omettendo di somministrare al medesimo - vittima di un sinistro stradale - la terapia eparinica indicata dalle linee guida, le quali prevedono espressamente, per i pazienti con periodo di allettamento superiore a tre giorni, la terapia antitrombotica.
La sentenze qualificava la condotta degli imputati colposa sulla scorta della ricostruzione e dell'analisi del perito nominato, secondo il quale il paziente presentava un indice di rischio di tromboembolia pari almeno a 4, punteggio che avrebbe dovuto indurre i medici a somministrare la profilassi eparinica, così come prescritta dalle linee-guida e che avrebbe con altissima probabilità bloccato l'embolia polmonare.
L'esame autoptico rivelava che il paziente era deceduto a causa di un arresto cardiorespiratorio secondario, con occlusione trombotica totale degli imbocchi di entrambe le arterie polmonari: la mancata somministrazione di eparina aveva consentito la formazione di un trombo di recente formazione, nelle vene dell'arto inferiore destro, con conseguente arresto cardiaco respiratorio, cui seguiva il decesso.
La Corte di Appello di Taranto riformava parzialmente la sentenza di primo grado, diminuendo la pena ed eliminando le statuizioni civili. I giudici di secondo grado ritenevano provato sia il fattore di rischio rappresentato dall'ipomobilità del paziente, prolungatasi anche oltre i tre giorni del ricovero, che la natura fibrino-leucocitaria del trombo, tipica di un'insorgenza recentissima; in secondo luogo, sul presupposto che l'agire dei medici si discostasse notevolmente dalle linee guida e dalle buone pratiche, la sentenza concludeva per l'inapplicabilità della disciplina di cui alla legge n. 158 del 2012, art. 3.
Le difese dei due sanitari, ricorrendo in Cassazione per l'annullamento della sentenza impugnata, proponevano censure stanzialmente sovrapponibili.
Entrambi i ricorrenti, infatti, lamentavano che il giudice di Taranto, aderendo in modo acritico alla sentenza impugnata, avesse sostanzialmente omesso di confrontarsi sia con i motivi di gravame proposti con l'atto di appello sia con le argomentazioni dei consulenti di parte, secondo i quali non poteva applicarsi ad un soggetto non politraumatizzato l'allettamento o l'immobilizzazione prolungata, considerata causa della tromboembolia, ma non oggetto della prescrizione dei sanitari.
Con il secondo motivo, censuravano la sentenza nella parte in cui si escludeva l'applicabilità della Legge Balduzzi senza avere proceduto d'ufficio, come ritenuto doveroso dalla giurisprudenza di legittimità, all'accertamento del grado di colpa, al fine di verificare se la condotta del sanitario fosse o no aderente alle linee guida accreditate; parimenti, i Giudici non rivalutavano la vicenda oggetto del processo, alla luce della legge Gelli Bianco, la quale ha introdotto l'art. 590 sexies c.p., il quale statuisce che la punibilità deve ritenersi esclusa laddove siano state rispettate le linee guida e le raccomandazioni previste ovvero, in loro assenza, le buone pratiche cliniche assistenziali, sempre che risultino adeguate alla specificità del caso.
La Cassazione non condivide le censure formulate dagli imputati.
In relazione al primo motivo, la Corte evidenzia che è ' vero, infatti, che la decisione della Corte di appello si allinea alle conclusioni del giudice di primo grado, ma solo dopo aver attentamente esaminato tutte le censure proposte dai gravami: la sentenza impugnata esamina tutti gli argomenti scientifici sottoposti con gli atti di appello, affrontando anche gli aspetti oggetto di sollecito da parte degli stessi imputati.
Secondo la Cassazione, la Corte d'appello non ha affatto evitato di confrontarsi con le censure avanzate dagli imputati, ma le ha semplicemente confutate avendo riguardo alle emergenze processuali: la circostanza che i sintomi clinici considerati siano stati i medesimi tenuti in considerazione dal primo giudice non significa affatto che la Corte non abbia riposto alle doglianze, ma solo che il quadro probatorio è quello emerso in giudizio e cioè quello sulla base del quale il giudice di primo e quello di secondo grado sono tenuti a formare il loro convincimento.
In relazione al secondo motivo di gravame, si esclude l'operatività dell'art. 3 della legge Balduzzi: la Corte evidenzia che il presupposto applicativo è la conformità della condotta alle linee guida, ove esistenti, ed alle buone pratiche, pacificamente mancata nel caso di specie, non avendo i sanitari neppure correttamente approfondito la valutazione dello score di rischio, come accertato con sentenza doppia conforme di merito. Il che consente di affermare la sussistenza di una colpa grave dei medici, rilevante non solo ai sensi del D.L. n. 158 del 2012, ma anche rispetto ai criteri generali regolanti la colpa medico-professionale prima dell'entrata in vigore della legge disciplinante in modo specifico la colpa medica.
Parimenti inapplicabile è la legge n. 24 del 2017, posto che – secondo il recente insegnamento delle Sezioni Unite - l'abrogato decreto Balduzzi si configura come norma più favorevole rispetto all'art. 590-sexies c.p., sia in relazione alle condotte connotate da colpa lieve da negligenza o imprudenza, sia in caso di errore determinato da colpa lieve da imperizia intervenuto nella fase della scelta delle linee-guida adeguate al caso concreto.
In conclusione, essendo stata accertata la responsabilità dei due medici, la Corte rigetta i ricorsi, confermando la sentenza di condanna.
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Nel 2010 mi sono laureata in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Bari; nel 2012 ho conseguito sia il Diploma di Specializzazione per le Professioni Legali presso l'Ateneo Barese che il Diploma di Master di II livello in "European Security and geopolitics, judiciary" presso la Lubelska Szkola Wyzsza W Rykach in Polonia.
Esercito la professione forense nel Foro di Bari, occupandomi prevalentemente di diritto civile ( responsabilità contrattuale e extracontrattuale, responsabilità professionale e diritto dei consumatori); fornisco consulenza specialistica anche in materia penale, con applicazione nelle strategie difensive della formula BARD.