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Con la sentenza n. 50619 dello scorso 16 dicembre, la IV sezione penale della Corte di Cassazione, ha confermato l'applicazione della misura cautelare della sospensione dall'esercizio della professione per un primario che aveva omesso di impartire direttive e istruzioni terapeutiche adeguate durante il ricovero di un paziente poi deceduto per uno shock settico.
Si è infatti ribadito che "la responsabilità del primario ospedaliero é esclusa solo allorquando il medico apicale abbia correttamente svolto i propri compiti di organizzazione, direzione, coordinamento e controllo e, ciononostante, si verifichi un evento infausto causato da un medico della propria organizzazione".
Il caso sottoposto all'esame della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un primario, accusato di omicidio colposo in regime di cooperazione colposa con altri indagati per aver fornito un contributo eziologicamente rilevante al decesso di un paziente, morto per il sopraggiungere di uno shock settico dopo che era stato ricoverato perché affetto da broncopolmonite.
In particolare, si imputava al camice bianco di non avere esercitato le proprie funzioni di indirizzo e di vigilanza sulle prestazioni dei medici da lui dipendenti, omettendo di impartire direttive e istruzioni terapeutiche adeguate al caso concreto durante il ricovero e non controllando l'attuazione delle stesse: secondo l'assunto accusatorio, le suddette condotte omissive non avevano impedito la commissione dei richiamati errori diagnostico-terapeutici, così avendo un effetto concausale nel prodursi dell'evento mortale.
Alla luce di tanto, il Tribunale del Riesame applicava al sanitario la misura della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, per la durata di sei mesi: il Tribunale dava atto di un quadro indiziario grave a carico del medico, che – pur essendo stato presente in reparto nei giorni di ricovero del malato – aveva omesso di impartire disposizioni organizzative e di effettuare i necessari controlli sul quadro diagnostico-terapeutico del paziente.
Il sanitario ricorreva in Cassazione, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al quadro indiziario.
Il ricorrente evidenziava come, pur essendo presente in reparto nei giorni di ricovero del paziente, né lo aveva visitato né aveva avuto modo di verificarne le condizioni, perché nessuno dei medici coinvolti nella vicenda gli aveva riferito alcuna delle criticità relative al ricovero.
A tal fine citava alcuni precedenti giurisprudenziali - nei quali la Corte aveva escluso la penale responsabilità del primario, per assenza di culpa in vigilando, per aver affidato il paziente alle cure dei medici subordinati, senza mai visitarlo e senza mai essere coinvolto direttamente nella gestione del caso clinico – evidenziando come, in una struttura sanitaria complessa, non possa esigersi dal primario ospedaliero l'assunzione in carico della cura di tutti i malati, né un obbligo di controllo nei confronti dei medici subordinati, tale da non consentire alcun margine di affidamento sulla correttezza del loro operato.
La Cassazione non condivide la doglianza della ricorrente.
La Corte premette che gli obblighi di garanzia connessi all'esercizio della organizzazione ospedaliera consentono al medico in posizione apicale di trasferire al medico subordinato la cura di singoli pazienti ricoverati nella struttura; tuttavia anche attraverso detta delega il medico apicale "delegante" non si libera completamente della propria originaria posizione di garanzia, conservando una posizione di vigilanza, indirizzo e controllo sull'operato dei delegati, che gli impone la verifica del corretto espletamento delle funzioni delegate e nella facoltà di esercitare il residuale potere di avocazione alla propria diretta responsabilità di uno specifico caso clinico.
Ne deriva che la responsabilità del primario ospedaliero é esclusa solo allorquando il medico apicale abbia correttamente svolto i propri compiti di organizzazione, direzione, coordinamento e controllo e, ciononostante, si verifichi un evento infausto causato da un medico della propria organizzazione.
Con specifico riferimento al caso di specie, risultava accertato che il primario non aveva adeguatamente programmato il lavoro dei collaboratori e, nei giorni di presenza nel reparto, non aveva controllato l'ottemperanza ai criteri di organizzazione e di assegnazione a sé o ad altri medici dei pazienti ricoverati, omettendo in specie di adempiere agli obblighi sia di indirizzo terapeutico, sia di verifica e vigilanza sulle prestazioni di diagnosi e cura affidate ai medici da lui delegati.
La Cassazione rigetta quindi il ricorso.
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