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Con la sentenza n. 20270 dello scorso 13 maggio, la IV sezione penale della Cassazione, chiamata ad esaminare la penale responsabilità di alcuni infermieri e sanitari per il decesso di una paziente cui era stato somministrato una dose eccessiva di un farmaco chemioterapico, ha annullato con rinvio la sentenza di condanna per un'infermiera che, sulla base delle indicazioni ricevute da un medico specializzando, aveva materialmente provveduto a preparare e somministrare l'eccessiva dose.
Si è difatti specificato che la prescrizione dei farmaci resta al di fuori delle competenze infermieristiche, in quanto il ruolo di garanzia che compete all'infermiere si limita al confronto con il medico cui è demandata la scelta della cura; ne deriva che l'infermiere è tenuto solo a segnalare eventuali anomalie che egli sia in grado di riscontrare o eventuali incompatibilità fra farmaci non esiste una regola di condotta contenuta in norme procedurali note o conoscibili dall'agente modello, con la quale si preveda che l'infermiere professionale debba interloquire solo con medici c.d. 'strutturati', escludendo altri medici operanti nei reparti, ancorché dotati -seppure di fatto- di relativa autonomia di intervento.
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un alcuni medici e infermieri per avere, in cooperazione fra loro, colposamente cagionato la morte di una paziente affetta da linfoma di Hodgkin, alla quale, nel corso del trattamento chemioterapico, veniva somministrata una dose del farmaco chemioterapico pari a mg. 90, a fronte di un dosaggio previsto in mg. 9.
In particolare, era accaduto che il dirigente medico del dipartimento di oncologia, dopo la risposta positiva ricevuta nel primo ciclo di cure, prescriveva un secondo ciclo di cura che, in maniera del tutto identica al primo, prevedeva il dosaggio del farmaco chemioterapico nella misura di mg. 9, proporzionata alla superficie corporea della paziente.
In occasione dell'inizio del secondo ciclo di cura, sulla scorta di quanto riportato sul frontespizio della cartella clinica in occasione dell'ultima seduta del primo ciclo chemioterapico, una erronea prescrizione veniva trasmessa al laboratorio deputato alla preparazione dei farmaci da parte di un'infermiera professionale. Quest'ultima, resasi conto della mancata disponibilità di una così ingente quantità di farmaco, chiamava in reparto per avere conferme circa il dosaggio e, vista la quantità, sulle modalità di somministrazione.
Nel corso dei due gradi di giudizio di merito, infermieri e medici venivano tutti condannati; con specifico riferimento alla posizione dell'infermiera addetta alla preparazione del farmaco, la sentenza di appello le rimproverava di avere, in assenza di ogni autonomia di valutazione riconosciuta alla professione infermieristica e di ogni conoscenza sulla natura del farmaco da somministrare, omesso di interpellare un medico strutturato per chiedere lumi sulla posologia, avuto riguardo all'esorbitanza del quantitativo, e sulla corretta somministrazione, accontentandosi di ricevere oralmente da una specializzanda la conferma del quantitativo.
Ricorrendo in Cassazione, l'infermiera sottolineava come la sua condotta si era inserita in un ambito operativo di grave disorganizzazione, a causa del quale si era ritrovata a preparare un farmaco di cui non poteva conoscere le caratteristiche; pertanto, non aveva nessuna ragione, una volta ricevuto il foglio di prescrizione interna, per rilevare l'errore, vieppiù dopo che telefonicamente aveva ricevuto conferme e ragguagli sulla somministrazione.
La Cassazione condivide la doglianza dell'infermiera.
In punto di diritto gli Ermellini rilevano come l'infermiere specializzato assume una specifica ed autonoma posizione di garanzia nei confronti del paziente nella salvaguardia della salute, della cura e dell'assistenza, il cui limite è l'atto medico.
In relazione alla somministrazione dei farmaci, la prescrizione degli stessi resta al di fuori delle competenze infermieristiche, in quanto il ruolo di garanzia che compete all'infermiere si limita al confronto con il medico cui è demandata la scelta della cura; ne deriva che l'infermiere è tenuto solo a segnalare eventuali anomalie che egli sia in grado di riscontrare o eventuali incompatibilità fra farmaci o fra la patologia ed il farmaco da somministrare o fra particolari condizioni e la cura prevista.
Con specifico riferimento al caso di specie la corte di merito – senza confrontarsi adeguatamente né con la normativa, né con la lettura giurisprudenziale degli obblighi incombenti sul personale infermieristico – addebita all'imputata l'omesso controllo sulla congruenza e le modalità di somministrazione, nonché l'omessa presa di contatto con un medico strutturato del reparto.
La Cassazione evidenzia, tuttavia, come siffatti addebiti non siano motivati, sia perché è compito del medico prescrivere le cure sia perché, nel caso di specie, l'infermiera si era confrontata con una dottoressa specializzanda che, sebbene medico non strutturato, era considerata braccio destro del dirigente medico, visitava e seguiva i pazienti, sottoscrivendo anche le cartelle cliniche.
Sul punto gli Ermellini evidenziano come non esista una regola di condotta contenuta in norme procedurali note o conoscibili dall'agente modello, con la quale si preveda che l'interlocuzione fra l'infermiere professionale ed il medico, debba intervenire solo con medici c.d. 'strutturati'.
Ne deriva che la ricerca della regola cautelare relativa all'obbligo di identificare l'interlocutore con il quale avviare il 'confronto' fra infermiere e medico deve essere calato in siffatto scenario, individuando ex ante la modalità operativa da seguire, rinvenendola in norme procedurali note o conoscibili dall'agente modello, quali linee guida, buone prassi, protocolli, raccomandazioni e normative interne o consuetudinarie.
Alla luce di tanto la sentenza impugnata viene annullata con rinvio al giudice competente, cui dovrà verificare se dal compendio delle emergenze raccolte in giudizio sia ricavabile l'esistenza di una regola di condotta contenuta in norme procedurali note o conoscibili dall'agente modello, quali linee guida, buone prassi, protocolli, raccomandazioni e normative interne o consuetudinarie, con la quale si preveda che l'interlocuzione fra l'infermiere professionale ed il medico, debba intervenire solo con medici c.d. 'strutturati', escludendo altri medici operanti nei reparti, ancorché dotati -seppure di fatto- di relativa autonomia di intervento.
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Il mio nome è Rosalia Ruggieri, sono una persona sensibile e generosa, sempre pronta ad aiutare chi ne ha bisogno: entro subito in empatia con gli altri, per indole sono portata più ad ascoltare che a parlare, riservatezza e discrezione sono aspetti caratteristici del mio carattere. Molto caparbia e determinata, miro alla perfezione in tutto quello che faccio.
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Nel 2010 mi sono laureata in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Bari; nel 2012 ho conseguito sia il Diploma di Specializzazione per le Professioni Legali presso l'Ateneo Barese che il Diploma di Master di II livello in "European Security and geopolitics, judiciary" presso la Lubelska Szkola Wyzsza W Rykach in Polonia.
Esercito la professione forense nel Foro di Bari, occupandomi prevalentemente di diritto civile ( responsabilità contrattuale e extracontrattuale, responsabilità professionale e diritto dei consumatori); fornisco consulenza specialistica anche in materia penale, con applicazione nelle strategie difensive della formula BARD.