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Ago non sicuro, infermiere infettato: condanna per il medico competente sulla sicurezza

Ago non sicuro, infermiere infettato: condanna per il medico competente sulla sicurezza

Con la sentenza n. 21521 dello scorso 1 giugno, la IV sezione penale della Corte di Cassazione, chiamata ad esaminare la responsabilità penale di un medico competente per il contagio subito da un infermiere mentre eseguiva un prelievo con un ago cannula sprovvisto di dispositivo di sicurezza, ha confermato la condanna per aver il medico omesso di collaborare con il datore di lavoro nella valutazione del rischio biologico rappresentato dalla possibile contrazione di patologie infettive per via ematica a causa di punture e ferite con aghi contaminati da sangue infetto.

Si è difatti ribadito che l'obbligo di collaborazione con il datore di lavoro da parte del medico competente, il cui inadempimento integra il reato di cui agli articoli 25, comma 1, lett. a) e art. 58, comma 1, lett. c) del d.lgs. 81/2008, comporta un'effettiva integrazione nel contesto aziendale del sanitario, il quale non deve limitarsi ad un ruolo meramente passivo, ma deve dedicarsi ad un'attività propositiva e informativa in relazione al proprio ambito professionale.

Il caso sottoposto all'esame della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un medico competente, imputato del reato di cui all'art. 590 c.p. per le lesioni contratte da un infermiere professionale, che aveva contratto il virus dell'epatite nello svolgimento della propria attività professionale: l'infermiere, mentre effettuava un prelievo di sangue venoso su una paziente affetta da epatite, a causa di un improvviso movimento della mano di quest'ultima, veniva accidentalmente punto dall'ago che stava utilizzando nell'arteria radiale del polso sinistro.

Accertato che la malattia era stata contratta dall'infermiere in occasione del prelievo ematico eseguito sulla paziente infetta e che ciò era stato possibile perché stava utilizzando un ago cannula sprovvisto di dispositivo di sicurezza, veniva contestato al medico, in qualità di medico competente dell'ASL, di aver omesso di collaborare con il datore di lavoro nella valutazione del rischio biologico rappresentato anche dalla possibile contrazione di patologie infettive per via ematica a causa di punture e ferite con aghi e taglienti contaminati da sangue infetto. 

 Per tali fatti, sia il Tribunale che la Corte di Appello di Brescia condannavano il medico alla pena di giustizia.

In particolare, la Corte di appello – rilevato che la tematica del rischio biologico conseguente all'utilizzo negli ospedali di aghi senza protezione era ben noto nella normativa specialistica dell'epoca del fatto - rimproverava all'imputato di non aver previsto l'adozione e l'uso degli aghi cannula protetti nel documento di valutazione dei rischi, alla cui stesura era stato chiamato a collaborare in qualità di medico competente.

Avverso la pronuncia di condanna, il medico ricorreva in Cassazione, eccependo l'errore compiuto dalla Corte distrettuale per averlo ritenuto corresponsabile con il datore di lavoro e il direttore del P.S., con i quali era chiamato a collaborare, nonostante questi ultimi fossero stati assolti.

Secondo la difesa dell'imputato, il venir meno della presunta responsabilità principale non poteva che far venir meno quella concorrente: posto che direttore dell'U.O. Pronto Soccorso era stato assolto per non avere egli poteri di spesa e nemmeno obblighi di segnalazione, non si poteva rimproverare alcunché al medico competente, che era nella medesima condizione, per non aver anch'egli poteri di decisione e di spesa, nonché per l'assenza di un budget adeguato alla necessità di acquisto degli aghi cannula protetti

La Cassazione non condivide la doglianza del ricorrente.

 In merito ai doveri del medico competente, la Corte ricorda che quest'ultimo è titolare di una propria sfera di competenza, sicché è un garante a titolo originario e non derivato: difatti, l'obbligo di collaborazione con il datore di lavoro da parte del medico competente, il cui inadempimento integra il reato di cui agli articoli 25, comma 1, lett. a) e art. 58, comma 1, lett. c) del d.lgs. 81/2008, comporta un'effettiva integrazione nel contesto aziendale del sanitario, il quale non deve limitarsi ad un ruolo meramente passivo, ma deve dedicarsi ad un'attività propositiva e informativa in relazione al proprio ambito professionale.

Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini rilevano come non vi sia alcun argomento giuridico che postula una assoluzione del medico competente per l'intervenuta assoluzione del datore di lavoro e del suo delegato.

Sul punto, gli Ermellini evidenziano che la sentenza impugnata ha logicamente e congruamente evidenziato come l'omissione ascritta al medico competente era effettivamente sussistente ed aveva avuto un'effettiva incidenza rispetto al verificarsi dell'evento, perché una eventuale segnalazione effettuata dal medico competente, corredata di specifiche indicazioni e valutazioni circa la pericolosità dell'utilizzo dei dispositivi privi di protezione e la necessità di una loro sostituzione, avrebbe avuto quale seguito la concreta esecuzione delle misure e l'approvvigionamento di quelle attrezzature.

Alla luce di tanto, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

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